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Musica da camera in San Lorenzo a Vicchio di Rimaggio: venerdì 9 luglio 2021

Stagione Primavera-Estate 2021

Venerdì 9 luglio, lo SPAZIO GRANDI GIOVANI, riservato al Trio Ad Libitum, formato da giovanissimi emergenti toscani: il violinista Damiano Isola, il violoncellista Martino Tazzari e il pianista Ruggero Fiorella, con musiche di Mendelssohn e Brahms.

L’inizio degli incontri musicali è alle ore 21.00

Ingresso libero e responsabile esclusivamente su prenotazione

Chiesa di S. Lorenzo a Vicchio di Rimaggio, via Vicchio e Paterno – Bagno a Ripoli

Come già sperimentato si manterranno tutte le precauzioni previste dalla normativa attuale: uso delle mascherine; predisposizione dispenser; sanificazione dei servizi igienici; distanziamento interpersonale; segnaletica informativa per gli spettatori; misurazione di temperatura; predisposizione di un flusso delle persone con entrata ed uscita distinte; evitare assembramenti di qualsiasi tipo.

La partecipazione alle serate avverrà esclusivamente previa prenotazione, in modo da poter prevedere e controllare l’afflusso delle persone dotate degli appositi strumenti di protezione. Una capienza contingentata di un massimo di circa 70 persone permette un sicuro distanziamento sociale.

Le prenotazioni saranno accolte tramite messaggio WhatsApp o SMS al 349.2384256, dalla settimana precedente ad ogni incontro, riservando la precedenza ai soci e all’ordine temporale delle prenotazioni. 

La formula dell’incontro con intervallo socialmente aggregante naturalmente non può avere luogo e, anzi, la serata presenta un programma di durata opportuna in un’unica soluzione e senza intervallo. Si implementano peraltro le possibilità di dialogo di spettatori ed appassionati con divulgazione e partecipazione anche virtuale alle attività, attraverso i mezzi social e la pagina Facebook degli Amici di Vicchio di Rimaggio.

È possibile sostenere l’iniziativa divenendo soci dell’Associazione Amici di Vicchio di Rimaggio, contattando il 349 2384256

La stagione musicale è patrocinata dal Comune e dalla Pro Loco di Bagno a Ripoli

Concorrono al sostegno dell’iniziativa:

Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze 

Banca di Credito Cooperativo di Pontassieve – Agenzia di Bagno a Ripoli

Unicoop Firenze – Sezione Soci Bagno a Ripoli 

Ditta Bussotti e Fabbrini – Firenze

Rete Toscana Classica

Generali Assicurazioni – Firenze (V. del Pollaiolo, 111c)

Eugenio Calzature

La Gargotta – Trattoria – Bagno a Ripoli

Il nubifragio del ’36 all’ANTELLA: le bare con i cadaveri navigavano sul fiume

Ripulitura del cimitero dopo l'alluvione del 3 luglio 1936 (Archivio Misericordia Antella)

By Massimo Casprini

Il 3 luglio 1936 un violento nubifragio si abbattè nella zona dell’Antella provocando lo straripamento del fiume Isone che irruppe nel cimitero.

Un inviato de La Nazione così riferì: «Una furiosa burrasca, accompagnata da continue scariche elettriche e una pioggia torrenziale è continuata a cadere ininterrottamente, crescendo ognora di intensità assumendo i caratteri e la violenza di un vero e proprio nubifragio. La zona dell’Antella è stata la più gravemente colpita e i danni prodotti dal temporale sono ingentissimi».

Si trattò di un autentico diluvio. Il fiume Isone, alimentato a monte da una serie di fossi e torrentelli che scendono dai due versanti di Montepilli e di Montisoni, al ponticino di Bellacoda raccolse anche le acque del Rimaggina ingrossando paurosamente. Una massa incontenibile d’acqua e fango straripò dalle sponde travolgendo ogni ostacolo, sommergendo campi e strade, distruggendo le coltivazioni. Insomma, fu un vero disastro.

La grande quantità di alberi, tronchi e arbusti trascinati a valle, fecero barriera e ostruirono le volte del ponticino che esondò eccezionalmente non lontano dal cimitero dell’Antella. 

Si racconta che, verso il tocco e mezzo pomeridiano di quella calda e piovosa giornata estiva, si sentì un boato pauroso, uno schianto assordante e una valanga d’acqua limacciosa si rovesciò sul muro di cinta del cimitero abbattendolo per una ventina di metri ed entrando nel luogo sacro.

L’enorme pressione dell’acqua fece crollare le pareti di due cappelle, divelse le croci nel camposanto, abbattè dei colombari, danneggiò alcune tombe e allagò tutti i sottosuoli.

Proseguendo la sua corsa disastrosa, la corrente invase la parte bassa del paese inondando gli scantinati e i piani terra delle abitazioni. Il fango e la melma ricoprirono i binari del tram di cui fu interrotto il servizio al cancello del Pedriali.

Non era la prima volta che il tranquillo Isone straripava causando anche notevoli problemi ma quella volta, oltre ai consistenti danni materiali provocati ai contadini e agli abitanti del paese, offrì uno spettacolo spaventoso e raccapricciante: sulle acque galleggiavano delle bare che erano state strappate dal cimitero e che ora scendevano verso il paese con il loro orrendo carico di cadaveri. 

Alcune si erano già schiantate contro il ponte del paese e il loro triste carico si era sparso nella piazza. Altre aveva proseguito a galleggiare entrando nei campi del Bacci, di Biagio, dei Mechi e in quelli successivi del Baldi fino al ponte della fornace e, sbattendo con violenza contro gli alberi, si erano aperte. I morti erano rimasti aggrappati ai loppi e ai peri, sospesi sopra le acque che, calmata la loro furia, avevano creato una palude fangosa. Appariva una scena infernale, con il cielo bigio, l’orizzonte tenebroso e ancora, improvviso, qualche lampo luminoso, il sole si era nascosto. Il silenzio fra gli abitanti, imposto dalla paura, era sovrano. 

Nessuno aveva mai assistito a uno spettacolo del genere, alcuni s’impegnarono a ripulire le cantine allagate, altri, i più, si rifugiarono in casa con i figli più piccoli. I più coraggiosi, si precipitarono a fare una pietosa opera di recupero delle salme sparse nei campi fino al Ponte a Niccheri per riportarle al cimitero.

Mauro Salvadori ha ricordato quei momenti con uno scritto ispirato, forse, da un testimone oculare: «…suo padre si fermò nell’udire uno schianto improvviso. Qualcosa si era infranto violentemente sulla spalletta del ponte e immediatamente vide cadere accanto a sé degli strani pezzetti di roba biancastra. “Ma… sono ossa! E quella che si è schiantata sul ponte era una bara!”. Di colpo vi fu un nuovo tonfo, identico al primo: un’altra bara che si schiantava sulla spalletta del ponte. Giulia si lasciò prendere dal panico e strillò con ribrezzo vedendosi cadere addosso stracci neri e ossa. […] Stava guardando con terrore oltre il ponte. Nella piena, torbida e agitata, si distingueva un’altra bara confusa tra rami e sporcizia d’ogni genere. L’impatto con la spalletta provocò l’identico risultato delle due precedenti, ma questa volta non uscirono ossa dall’interno della bara, bensì il corpo appena putrefatto di una donna, che a contatto con i flutti vorticosi si divise in brandelli».

Non appena la violenza del nubifragio apparve diminuita, arrivarono gli aiuti e i soccorsi dei Carabinieri, dei pompieri e degli operai del Genio Civile. Espressero la loro solidarietà alla popolazione il podestà Sandulli, il segretario del fascio Marchetti e l’ispettore dei fasci Malenchini i quali constatarono anche la distruzione delle costruzioni di legno e di tutte le attrezzature delle Colonie Elioterapiche per i ragazzi preparate lungo il fiume sotto a Osteria Nuova che dovevano essere inaugurate fra pochi giorni.

L’immagine protettiva dell’Immacolata Concezione nella lunetta della cappella

Fortunatamente non ci furono vittime anche perché a quell’ora il cimitero era chiuso al pubblico. Al suo interno era rimasto soltanto il noto pittore Luigi Arcangeli che stava affrescando le arcate del loggiato Roster orientale. Si salvò perché rimase tutto il tempo sopra il ponteggio che non fu trascinato via dalla piena. Si credette fosse stato protetto dalla Madonna che gli stava di fronte e che lui aveva dipinto un anno prima nella lunetta della cappella Immacolata Concezione.

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FESTA DEI SANTI PATRONI 29 GIUGNO 2021 con CONCERTO alla PIEVE DI SAN PIETRO A RIPOLI

San Paolo, statua all'interno della chiesa
by Benedetta Giannoni
La nostra chiesa più maestosa è indubbiamente la Pieve di San Pietro e Paolo in via del Poggio della Pieve, tra Sorgane e Bagno a Ripoli ed è dedicata proprio ai nostri santi patroni: San Pietro,  apostolo di Cristo, fondatore della chiesa e primo Papa che viene sempre rappresentato con le chiavi in mano e San Paolo, che invece fu prima grande persecutore di cristiani, poi folgorato da Dio sulla via di Damasco divenne uno dei più grandi divulgatori della ” buona novella” cioè il Vangelo. È sempre rappresentato con il rotolo delle scritture in mano e la spada simbolo del suo martirio e del suo passato di oppressore
San Pietro, statua all’interno della chiesa
La processione dei santi patroni veniva in passato organizzata sessanta giorni dopo la Pasqua ed era la più importante dell’anno. I parrocchiani stendevano dei drappi alle finestre ed accendevano i lumini sui davanzali di casa il giorno del suo passaggio in strada. Il pievano Don Quirino Paoletti benediva i frutti della terra che i coltivatori di zona gli donavano.
Negli anni quaranta addirittura vi era una banda ad accompagnare il corteo. Erano presenti anche le autorità militari e nelle processioni del diciannovesimo secolo sfilavano anche i granatieri con tamburi e pifferi.
Veniva offerto un pranzo dai Pievani reggenti la chiesa a tutti i preti delle parrocchie vicine
Negli statuti cittadini della Lega di Ripoli è riportato che era il Camarlingo di detta lega a donare alla chiesa della Pieve “quattordici falcole” di cera bianca veneziana per gli usi liturgici.
Negli ultimi anni oltre alla importantissima funzione religiosa si è cominciato anche ad imbandire una grande tavolata nel centro di Bagno a Ripoli in via Roma organizzata dal comune di Bagno a Ripoli e animata dal lavoro delle braccia dei componenti delle associazioni cittadine che con i tre turni ” montatori”, “camerieri” e “smontatori” mettono tutti davanti al desco!
Speriamo che con la fine della pandemia, l’anno prossimo si possa riorganizzare di nuovo la grande cena!
Nel frattempo alla Pieve il giorno Domenica 27 giugno 2021 alle 21.00 sarà organizzato un concerto di musica classica e contemporanea con musiche di Mozart, Bizet, Verdi, Mascagni, De Haan, Piovani, Ennio e Andrea Morricone.
Eseguiranno i brani i musicisti della Filarmonica “Luigi Cherubini” diretta dal Maestro Carmelo Mobilia.
Una bella riapertura alla vita di comunità dopo mesi di ristrettezze con l’augurio che il pievano attualmente reggente Don Francisco Evaristo possa accogliere con affetto tutti i suoi parrocchiani e non e  ricominciare a vele spiegate la sua pastorale.

Chi è BENEDETTA GIANNONI??

Benedetta Giannoni, nata a Firenze nel 1973, vive a Bagno a Ripoli da sempre, diplomata al liceo artistico, impiegata in un negozio che vende articoli sportivi. Da quasi 30 anni studia e balla danze antiche nel corpo di danza “Balletto Rinascimentale” della Contrada Alfiere, dipinge ed espone nella associazione Giuseppe Mazzon. Le piace il running e camminare. Adora gatti e cavalli.

Benedetta Giannoni, autrice dell’articolo
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Musica da camera in San Lorenzo a Vicchio di Rimaggio: lunedì 28 giugno 2021

Stagione Primavera-Estate 2021

Un’altra serata di musica tematica lunedì 28 giugno,

a ricordare il centenario dalla nascita dell’avvincente Astor Piazzolla in un trittico compilato assieme ai clavicembalisti barocchi toscani Bernardo Pasquini e Domenico Zipoli, con protagonista il celebre mirabolante fisarmonicista Ivano Battiston.

L’inizio degli incontri musicali è alle ore 21.00

Ingresso libero e responsabile esclusivamente su prenotazione

Chiesa di S. Lorenzo a Vicchio di Rimaggio, via Vicchio e Paterno – Bagno a Ripoli

Come già sperimentato si manterranno tutte le precauzioni previste dalla normativa attuale: uso delle mascherine; predisposizione dispenser; sanificazione dei servizi igienici; distanziamento interpersonale; segnaletica informativa per gli spettatori; misurazione di temperatura; predisposizione di un flusso delle persone con entrata ed uscita distinte; evitare assembramenti di qualsiasi tipo.

La partecipazione alle serate avverrà esclusivamente previa prenotazione, in modo da poter prevedere e controllare l’afflusso delle persone dotate degli appositi strumenti di protezione. Una capienza contingentata di un massimo di circa 70 persone permette un sicuro distanziamento sociale.

Le prenotazioni saranno accolte tramite messaggio WhatsApp o SMS al 349.2384256, dalla settimana precedente ad ogni incontro, riservando la precedenza ai soci e all’ordine temporale delle prenotazioni. 

La formula dell’incontro con intervallo socialmente aggregante naturalmente non può avere luogo e, anzi, la serata presenta un programma di durata opportuna in un’unica soluzione e senza intervallo. Si implementano peraltro le possibilità di dialogo di spettatori ed appassionati con divulgazione e partecipazione anche virtuale alle attività, attraverso i mezzi social e la pagina Facebook degli Amici di Vicchio di Rimaggio.

È possibile sostenere l’iniziativa divenendo soci dell’Associazione Amici di Vicchio di Rimaggio, contattando il 349 2384256

La stagione musicale è patrocinata dal Comune e dalla Pro Loco di Bagno a Ripoli

Concorrono al sostegno dell’iniziativa:

Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze 

Banca di Credito Cooperativo di Pontassieve – Agenzia di Bagno a Ripoli

Unicoop Firenze – Sezione Soci Bagno a Ripoli 

Ditta Bussotti e Fabbrini – Firenze

Rete Toscana Classica

Generali Assicurazioni – Firenze (V. del Pollaiolo, 111c)

Eugenio Calzature

La Gargotta – Trattoria – Bagno a Ripoli

La CHIESA e la MASSONERIA: il Decamerone del Settecento

Bindo Simone Peruzzi (1696-1759)

By Massimo Casprini

Giovanni Boccaccio fu motivato a scrivere le sue Cento Novelle dalla peste del 1348. Invece, Bindo Simone Peruzzi, quattro secoli dopo, fu ispirato dall’alluvione del 3 dicembre 1740 per scrivere il suo Decamerone.

La storia comincia con una descrizione di alcuni fatti curiosi e tragici realmente accaduti nella campagna ripolese: i giovani baldanzosi che, incuranti della tragedia, si appartano con le amate fanciulle nei boschi o nelle capanne per «isfogare collo amoroso piacere le illecite voglie»; la povera donna che nel podere dei Castellli a Badia a Ripoli resta imprigionata per un giorno intero su un piccolo ciglio di terra circondato dalla furia delle acque; il prete di Baroncelli che, perduto il suo cavallo nelle acque dell’Arno, è miracolosamente salvato da alcuni contadini alla Mattonaia di Rusciano; la misera gente che, presa dalla disperazione, si getta nelle onde limacciose per cercare di recuperare le povere cose trascinate dalla furia del fiume; la disgraziata madre che, nel tentativo di salvare il figlio, muore anch’essa affogata. 

Il novellatore racconta una storia alle fanciulle del convivio Decamerone (J. W.Waterhouse, 1916, Lever Art Gallery, Liverpool)

Poi, Bindo racconta i tristi fatti avvenuti nella città di Firenze e riporta le fantastiche supposizioni, ascoltate fra il popolo, sulle cause della tremenda alluvione: i Gesuiti parlavano di una punizione divina per i troppi peccati della gente; alcuni invocavano l’intervento della Madonna dell’Impruneta; si diede la colpa anche alla Massoneria; ma gli accademici Colombari cercarono di convincere che c’era stato un eccessivo imbrigliamento dell’Arno e notevoli nevicate nei giorni precedenti che avevano originato un «Terremoto Aqueo».

Proprio per fuggire dal fango e dalla belletta che aveva invaso le strade, nell’attesa che le case fossero ripulite e asciugate, Bindo Simone pensò bene di rifugiarsi per un certo periodo nella sua villa La Torre dell’Antella insieme a quattro Cavalieri e a cinque Dame per passare le giornate a giocare, a mangiare, ma soprattutto a novellare durante le lunghe veglie.

La comitiva parte dalla Costa San Giorgio, attraversa il Pian de’ Giullari, scende sulle rive dell’Ema e entra nella valle dell’Antella che è presentata alla brigata come una splendida campagna contornata da ville signorili.

Giunti alla villa Peruzzi, viene organizzato il soggiorno e proposto un regolamento al quale ognuno dovrà attenersi. Vengono assegnate le camere separatamente «per gli uomini quelle del terreno, e per le Femmine quelle superiori» e, dopo una prima passeggiata, si riuniscono tutti a chiaccherare intorno al fuoco e a bere una «gustosa Acqua Calda entrovi bollito odoroso Limone di Napoli con bianchissimo zucchero addolcita».

Villa La Torre all’Antella in una foto del 1894 del maestro Antonio Degl’Innocenti (Torrigiani I/VII)

La prima veglia si tiene «sotto il reggimento di Eurimia e di Miasteo», una delle cinque coppie dei personaggi ai quali l’autore attribuisce fantastici nomi che, per le donne, originano da parole greche che fanno riferimento all’amore (Agapilla, Alipea, Eurimia, Filotilla, Sofrosina) e, per gli uomini, si ricollegano a nomi di antichi poeti greci (Euretiro, Glicione, Miasteo, Partenio, Stanrippo).

L’argomento delle novelle scelto per la prima serata è quello di raccontare della vendetta scherzosa e piacevole fatta da chi ha ricevuto un’offesa o una beffa.

Miasteo comincia a raccontare la sua novella parlando di un certo Curzio Marignolli. Un personaggio vissuto nel XVI secolo molto richiesto nei salotti più importanti della città per il suo spirito bizzarro e per l’animo lieto e cordiale. Ospite di Tommaso Altoviti nella villa della Chiocciola a Troghi, un giorno volle recarsi a Vallombrosa dove i frati, avendolo accolto malamente, subirono un brutto scherzo che Curzio gli giocò. Morì nel 1606 a Parigi dove era ospite alla corte della regina.

Negli Annali della Società Colombaria, alla data del 18 marzo 1759, è scritto che Bindo Simone aveva lasciato il manoscritto del Decamerone con l’introduzione e dieci novelle delle quali però, per ora, ne abbiamo trovata soltanto una. 

Abbiamo, tuttavia, recuperato fra le carte dell’Archivio di Stato a Firenze una specie di programma di quello che avrebbe dovuto diventare il poema, In effetti, l’autore espone gli argomenti di venti novelle delle quali si capisce già quanto siano state divertenti, curiose e a volte tragiche testimoni di fatti. Si trattava di burle azzardate verso l’Autorità, di truffe verso i commercianti, ma molto spesso di storie d’amore, d’onore e di passione realmente accadute. Si ricordano, per esempio: oltre a Curzio Marignolli, l’avvocato Meoli, l’Inquisitore Martinelli, Tommaso Crudeli che fu l’unica vittima della repressione antimassonica di quegli anni, Giuseppe Buondelmonti con il quale il Peruzzi ebbe l’onore di celebrare le esequie di Gian Gastone, il dongiovanni Pocciolo e le birraie di Livorno.

Ben altri furono i motivi, e non la mancanza di tempo, che indussero Bindo Simone a interrompere di scrivere novelle.

La grande diffusione della vendita dei libri e l’apertura di caffè letterari, frequentati soprattutto da giovani, e anche da donne, aveva favorito l’interesse del pubblico per generi nuovi, quali le scienze naturali, la chimica, la medicina, la politica e anche una certa letteratura erotica. 

La Chiesa riconobbe la pericolosità di questo fenomeno che stava allontanando la gioventù dai tradizionali temi religiosi e riuscì pertanto ad ordinare – nel 1749 – una perquisizione sistematica delle principali librerie di Firenze. I libri considerati «di oscenità e di libertinaggio» furono sequestrati e alcuni caffè furono chiusi. In questo clima di proibizionismo fu inevitabile che i frequentatori cercassero di mettersi in contatto in gran segreto con i circoli massonici fiorentini, dove la diffusione del sapere riusciva ancora ad esprimersi liberamente, benché Clemente XII avesse emesso la scomunica per tutti i partecipanti.

Può darsi, dunque, che Bindo Simone abbia ripensato al fatto che, in quel momento, era troppo azzardato parlare di cinque Signore che si ritirano, da sole, con cinque uomini in una villa per vivere alcuni giorni in lieta compagnia a raccontare novelle senza pudore, lontane dai vincoli che il loro rango gli avrebbe imposto in città. La Chiesa, certamente, non avrebbe ben accettato che si parlasse di questa libertà di costumi, tanto più se descritta da uno che, si diceva, «praticava molto con gli inglesi» insieme con altri Liberi Muratori.

Proprio nell’anno 1746 – quando Bindo Simone inizia a scrivere il suo Decamerone – era accaduto, infatti, che alcuni letterati fiorentini, fra l’altro suoi amici, e proprio perché appartenenti alla loggia massonica, erano stati perseguitati e le loro opere messe all’Indice dalla Congregazione del Sant’Uffizio: le Poesie di Tommaso Crudeli e Le cene di Anton Francesco Grazzini detto il Lasca.

Lo stesso Peruzzi fu interrogato dalla Santa Inquisizione durante il processo al Crudeli e, fortunatamente, riuscì a cavarsela. 

Dopo la sua morte avvenuta nel 1759, il manoscritto Le Antellesi (come lui lo aveva intitolato), rimase abbandonato nell’archivio di famiglia dove, per caso, lo abbiamo ritrovato, ricopiato e pubblicato per la prima volta nel 2002 coi tipi di Olschki.

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Il Parco – Giardino di GRASSINA

Pinocchio

By Andrea Bettarini

Una volta arrivati nella zona sportiva della Casa del Popolo di Grassina come si fa a non restare colpiti dalla scultura in bronzo colorato di Francesco Battaglini? L’opera dal titolo “ La virtù della fortezza “ ci presenta un insolito Pinocchio, con zaino in spalla, pronto ad affrontare un leggero pendio.

Accogliamo l’invito del celebre burattino mettendoci in cammino.

Una volta superato lo spazio giochi per i bimbi, il pallaio per il gioco delle bocce, lasciandoci a sinistra il Ponte del Risorgimento ci si inoltra per un tratto ombreggiato dal quale nasce il percorso pedociclabile Ponte a Niccheri – Grassina.

Incontriamo una targa posta in ricordo di Doriano Galli Medaglia d’argento al valor militare, un giovane di diciassette anni, che con coraggiosa iniziativa personale, nell’estate del 1944 disinnescò le mine piazzate dai tedeschi in ritirata sotto i ponti del torrente Grassina evitandone la distruzione.

Attraversiamo la strada di fronte alla Chiesa di San Michele a Tegolaia e proprio dinanzi al circolo Acli un monumento ricorda i “ Caduti nelle guerre volute dal fascismo e nella guerra di liberazione nazionale. “
Superate le strutture sportive della Società Albor si accede al parco vero e proprio. Nell’area alla destra del percorso sono stati piantati alberi da frutto: meli, delle varietà annurca, golden delicius. Grammy Smith, peri Williams rosso. Un modo per richiamare alla mente quella che era la vocazione agricola della piana di Bagno a Ripoli: Il giardino più delizioso come lo definì il geografo Emanuele Repetti nel 1833. Un pomario che riforniva di frutta la vicina città di Firenze.

Melo

Il parco – giardino di Grassina. adagio, adagio fluisce accompagnato dallo scorrere dell’Ema.

Lungo Ema

Un airone cenerino segue, planando, il corso del torrente posandosi su un cumulo di massi che affiorano dall’acqua. Rimane immobile in mezzo alla corrente. Sollevando lo sguardo sopra la fitta vegetazione di Belmonte, in alto nel cielo volteggia una poiana pronta a lanciarsi su una piccola, malcapitata, preda.

La pista pedociclabile non poteva essere intitolata che al grande campione Gino Bartali.

Pista Gino Bartali

Lungo gli argini del torrente alberi di alto fusto, si possono riconoscere acacie, robinie, gelsi, un vecchio noce. Nella parte destra, un susseguirsi di elementi d’arredo per giardini, oltre un centinaio di giovani alberi che ancora non sono tali da ombreggiare le panchine. Per tale assenza è stata predisposta una vasta tettoia ombreggiante.

Elementi arredo

Una zona recintata e attrezzata è riservata ai nostri amici a quattro zampe dove possono scorrazzare liberi e in totale sicurezza.

Zona cani

Una recente acquisizione del Parco è l’apiario con due arnie.

Arnie

La passeggiata si conclude all’incrocio con il viale che porta a Ponte a Niccheri. Poco prima non possiamo fare a meno di notare una fitta vegetazione che affianca il percorso, arbusti serrati uno affianco all’altro, alberi della stessa specie. E’ l’ailanto una pianta infestante che si moltiplica in modo eccessivo. L’ailanto o dal fascinoso nome di albero del paradiso è una pianta che viene dalla Cina. Nell’ottocento fu importata in Europa, come pianta ornamentale. In quel periodo le cineserie erano di gran moda, giardini e viali erano popolati di ailanto. E’ una pianta che genera facilmente dei polloni da questi nascono nuovi esemplari. Ha la capacità di moltiplicarsi in maniera incontrollata.

Ailanto

Il parco – giardino di Grassina è da consigliarsi per chi vuole fare jogging o una semplice passeggiata, chi vuole salire in sella alla bicicletta e pedalare in tutta sicurezza lontano dal traffico cittadino, chi leggere un libro o un giornale comodamente seduto su una panchina in una zona priva di rumori. Inoltre si può prestare da laboratorio en plein air per scolaresche accompagnate da insegnanti e guide naturalistiche alla scoperta di decine di specie di piante e alcuni animali che popolano l’ambiente.

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Musica da camera in San Lorenzo a Vicchio di Rimaggio: venerdì 18 giugno 2021

Stagione Primavera-Estate 2021

Dopo il successo dell’inaugurazione di venerdì scorso, con il tutto esaurito di tutti i posti disponibili distanziati, l’Associazione Amici di Vicchio di Rimaggio propone venerdì 18 giugno il secondo appuntamento del cartellone di Primavera-Estate 2021, Musica da camera in San Lorenzo a Vicchio di Rimaggio. 

La partecipazione avviene esclusivamente previa prenotazione con messaggio sms o whatsapp al 349.2384256, in modo da poter prevedere e controllare l’afflusso delle persone, dotate degli appositi strumenti di protezione.

Cornice affascinante della serata è come sempre la Chiesa duecentesca di S. Lorenzo a Bagno a Ripoli (Vicchio di Rimaggio).

L’appuntamento, intitolato “Musica da Oscar” – Omaggio a Ennio Morricone,

intende costituire un viaggio musicale con i “compagni di sempre” del Compositore: l’affascinante soprano Susanna Rigacci (“storica voce” nelle più celebri melodie firmate da Ennio Morricone), assieme all’eclettico e noto flautista Paolo Zampini, al fianco del raffinato pianista Tiziano Mealli. Intrigante è anche l’accostamento agli autori francesi Claude Debussy e André Caplet nella scelta dell’inedita locandina.

L’Osservatorio astronomico di BELMONTE: ogni notte IL MARCHESE STUDIAVA LE STELLE 

L'Osservatorio di Belmonte come si presenta oggi

By Massimo Casprini

Sulla collina tra Antella e Balatro, nel parco della villa Belmonte, nel 1912 sorse un osservatorio astronomico ad opera del marchese Nello Venturi Ginori, la cui famiglia era proprietaria di un’estesa fattoria nella zona. 

Nello Venturi Ginori nacque il 16 settembre del 1884. Fin da giovane dimostrò interesse per le scienze, la fisica e l’astronomia. Di carattere riservato, silenzioso e introverso, amava immergersi nello studio, poco incline a frequentare compagnie. «Quando aveva occasione di intrattenersi di argomenti astronomici, allora e soltanto allora, si animava e continuava a discutere a lungo con vivo interessamento». 

Nello Venturi Ginori (primo seduto a sinistra) in una foto che ritrae i componenti la spedizione in Himalaya guidata dal De Filippi. Il Ginori ha in braccio «Alab, un cane setter nero, mite, dolce e timido. Sopravvisse alla grande avventura e fece ritorno in Europa col suo padrone»

Per volere della famiglia, nel 1908 dovette interrompere gli studi di astronomia all’Università di Padova pere trasferirsi in Argentina dove s’impiegò in una banca.

Durante la sua permanenza in Sud America, che durò tre anni, pur non avendo a disposizione nessun strumento astronomico particolare, si dedicò alle osservazioni solari testimoniate da due quaderni manoscritti e da una pubblicazione sulla Rivista di Astronomia in cui descrisse con dovizia di particolari l’oscuramento progressivo della luna dovuto all’eclisse totale del 29 novembre 1909. 

Tornato in Italia, con l’aiuto del padre Ippolito, mise in atto quello che era il suo grande progetto: la costruzione di un osservatorio a Belmonte, un modesto edificio con tetto a terrazza e un parafulmine ad ogni angolo. L’ubicazione era ideale: su un’altura isolata a 205 metri s.l.m. circondata da uliveti che non impedivano la visione del cielo, con uno splendido panorama su Firenze fino alle colline pistoiesi, sufficientemente lontana dalla città ma vicina all’Osservatorio Astronomico di Arcetri, punto di incontro con altri scienziati. 

Il nostro intraprendente astronomo dotò la nuova struttura di una strumentazione di tutto rispetto, acquistando in Inghilterra da T. Cooke & Sons un telescopio rifrattore da otto pollici (venti cm di apertura) a montatura equatoriale e relativa cupola. 

Telescopio “Nello Venturi Ginori” che era all’Osservatorio di Belmonte (fotografia p.g.c. dell’Osservatorio di Arcetri)

La cupola, divisa in due sezioni poiché doveva essere apribile e girevole su un binario a cremagliera circolare, era mossa manualmente – in quanto, all’epoca, all’Osservatorio non c’era ancora la corrente elettrica – e anche il moto rotatorio del telescopio era affidato a un sistema a orologeria con dei contrappesi. Le cupole tradizionali erano rivestite di lamiere di rame che, essendo molto costose e pesanti, furono sostituite con pannelli di cartapesta. 

A Belmonte, per rendere la cupola più leggera e funzionale, si rese necessario l’intervento della falegnameria Barbieri di Antella per fare il rivestimento interno in legno di gattice con le stecche ad incastri, senza l’uso di chiodi. Fu poi ricoperta con una grossa tela e verniciata di grigio, in modo da creare una specie di “incerato” per proteggerla dalla pioggia.

Fin dai primi tempi, il Ginori scrisse articoli relativi alle sue osservazioni su eclissi lunari, comete e macchie solari. Oltre l’interesse per i fenomeni celesti, Nello Venturi Ginori dimostrava di essere un meticoloso osservatore e raccoglitore di dati meteorologici. 

Nella veste di meteorologo e astrofilo prese parte, tra il 1913 e il 1914, alla “Spedizione scientifica italiana in Himàlaia Caracorum e Turchestàn” organizzata dall’esploratore Filippo De Filippi (1869-1938) della quale facevano parte esploratori e scienziati di grande valore, da Renato Biasutti e Giotto Dainelli a Olinto Marinelli.

Il De Filippi stesso scrisse che: «Il secondo meteorologo scelto fu il Marchese Nello Venturi Ginori, il quale partecipò a tutta intiera la spedizione e nell’autunno inverno 1913-1914 raccolse una prima serie di osservazioni nel Bàltistan, che servirono fra l’altro a calcolare i dati altimetrici occorrenti ai lavori geodetici e topografici relativi alle stazioni gravimetriche e magnetiche». 

Rientrato in Italia, dotò il piccolo ma completo Osservatorio di Belmonte di nuovi strumenti che gli permisero di eseguire accurate osservazioni astronomiche. Qui trascorse molti anni nella quiete e solitudine, rare erano le visite che riceveva e soltanto i parenti e la sorella Marianna trascorrevano qualche mese nella stagione autunnale in sua compagnia. 

Manteneva sporadici contatti con l’Osservatorio di Arcetri per scambiare informazioni con altri astronomi o per consultare libri e riviste nella biblioteca, fin quando, nell’ottobre del 1927, venne a mancare sua madre – la contessa Tecla Rucellai – alla quale era amorevolmente legato. Questo luttuoso evento determinò l’abbandono della villa e dell’Osservatorio di Belmonte e il suo ritiro nel palazzo paterno a Firenze in via della Scala. 

Tuttavia, la passione per l’astronomia non lo abbandonò mai e, ben presto, tornò nel suo Osservatorio di Belmonte per dedicarsi a osservazioni su comete, macchie solari e stelle. I Dini, che erano i giardinieri del parco della villa e abitavano al piano terreno dell’Osservatorio, ricordano che passava intere notti a lavorare al primo piano e sulla terrazza. 

Nel 1932, l’Osservatorio figurava fra quelli che parteciparono in collegamento alla quarta assemblea generale della International Astronomical Union che si svolse dal 2 al 9 settembre 1932 a Cambridge in Massachusetts (USA).

Nel 1943, in piena Seconda Guerra mondiale, Nello, ormai già minato nel fisico e colpito da una malattia non adeguatamente curata – sembra sia stata originata dal fatto che dovette liberare il suo Osservatorio e raccogliere il suo materiale per far posto agli sfollati di Antella – lo portò alla morte il 25 settembre. 

Nel timore che l’Osservatorio fosse bombardato, furono rimossi tutti gli strumenti e il materiale scientifico che, per volontà della famiglia, furono donati all’Osservatorio di Arcetri. 

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Chiesa di Santo Stefano a Paterno

Ascoltiamo don Fabio

by Andrea Misuri

I novant’anni di Don Fabio Masi

Con il Cral di Firenze visitiamo la Chiesa di Santo Stefano a Paterno. Siamo alle pendici del Monte Pilli, meta finale della nostra camminata. Dalla cima dell’altura con i suoi quasi 500 metri – dove un tempo sorgeva una piccola costruzione militare longobarda – la vista spazia sulla valle sottostante verso Firenze.

La chiesa
Il campanile e la campagna ripolese
Scendendo dal Monte Pilli

Partiamo da via Roma, svoltiamo all’Arco del Camicia e risaliamo via di Terzano. L’Arco pare prendere il nome da una famiglia Camici che gestiva l’osteria posta lungo la via Vecchia Aretina. Osteria che già compare nella carta 106 in “A.S.F. Capitani di Parte. Piante di Popoli e Strade 1584”. L’osteria doveva occupare gli spazi attualmente caratterizzati dall’Arco nato forse per collegare le due strutture laterali.

Osteria del Camicia Carta 106 (particolare) A.S.F. Capitani di Parte. Piante di Popoli e Strade 1584
Chiesa di Santo Stefano a Paterno Carta 106 (particolare) A.S.F. Capitani di Parte. Piante di Popoli e Strade 1584
Carta 106 A.S.F. Capitani di Parte. Piante di Popoli e Strade 1584

L’attuale via di Terzano è lungo il tracciato di una strada romana –  variante più percorribile di quella Cassia Vetus che seguiva a mezza costa la riva dell’Arno in direzione “Florentia” – che finiva per  incrociare la Cassia Adrianea nella pianura ripolese.

Il toponimo “terzano” è di origine latina, così come “paterno”, frequente in Toscana ad indicare una proprietà ereditata dal padre.

La chiesa è sulla destra, in cima ad una breve scalinata. L’edificio, ristrutturato in stile neoromanico nel 1934, sostituisce l’antica struttura medioevale, già documentata nel 1286, che si trovava più a monte. All’inizio dell’Ottocento versava in così pessime condizioni che fu deciso di ricostruirla. Nella stessa carta 106 sopra citata, troviamo la chiesa indicata nel territorio del Popolo di Santo Stefano a Paterno.

Il gruppo Cral di Firenze
L’interno

L’appuntamento è con don Fabio Masi. Ci parla della storia della chiesa, descrive le opere che vi sono conservate con la passione e l’amore di chi è qui da tanti anni. L’edificio è certo moderno – l’abside è stato costruito dopo l’ultima guerra – ma al suo interno c’è almeno un’opera di notevole importanza, proveniente dall’oratorio della Croce a Varliano. Un Crocifisso di Gaddo Gaddi con il Christus patiens di fine XIII secolo, che ricorda il Crocifisso di Santa Croce a Firenze di Cimabue. Probabile committente la Compagnia del Bigallo, per l’anagramma della lettera “B” sormontata da un gallo, dipinto nel suppedaneo. Proprio in questi giorni il Crocifisso – a lungo in restauro – torna a riprendere il suo posto all’interno della chiesa.

L’altare
La sacrestia
L’interno

Entrando a destra, una Madonna e San Giuseppe adoranti il Bambino della scuola di fra Bartolomeo attribuita all’allievo fra Paolino da Pistoia e l’affresco della Vergine con l’angelo di scuola fiorentina del Quattrocento. Nella sacrestia, una minuscola, sorprendente Pinacoteca con opere seicentesche di autori ignoti, tra le quali una Maddalena, una Santa Lucia e un Sant’Antonio Abate di pregevole fattura.

Madonna e San Giuseppe adoranti il Bambino
Vergine con l’angelo
Santa Lucia
Sant’Antonio Abate
Maddalena
L’interno (particolare)

Don Fabio è arrivato qui, proveniente dal Vingone, il primo agosto 1982. Il prossimo 17 giugno compie novant’anni. Questo scritto vuole essere anche un omaggio ai quasi quarant’anni dedicati al popolo di Santo Stefano a Paterno e alla comunità ripolese tutta. 

 Per chi è interessato ad approfondire la storia del territorio c’è un libro, una miniera di curiosità e ricordi di un passato neppure tanto lontano, Stendardi Rossi, Massimiliano Franci, Edarc Edizioni, 2002. E’ possibile acquistarlo all’edicola “Libri&Giornali” di Tania Borrani a Grassina, riferimento noto per gli appassionati di storia locale.

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MONDEGGI: il Parco, le Quattro Stagioni e la Villa

La villa di Mondeggi

By Massimo Casprini

Sulla via di Pulicciano, alla fine delle curve della Cipressaia provenendo da Grassina, una targa in marmo annuncia che SI VA A MONDEGGI. È murata sul basamento de Il pilastro del cane dove un enorme mastino napoletano scolpito nella pietra sta a guardia del monumentale viale d’ingresso alla villa di Mondeggi.

Il Pilastro del Cane in una foto del 1991

Fino a pochi anni fa, fra le sue zampe c’era uno stemma in ferro dei Della Gherardesca (scomparso) i quali, probabilmente, portarono qui il monumento dal parco di Lappeggi dove si trovava insieme a tante altre statue volute dal cardinale Francesco Maria de’ Medici. Infatti, nella carta disegnata da Bartolemeo Ruggeri nel 1743 si legge “Pilastro del cane” in prossimità dell’incrocio fra via del Cerreto e via Pulicciano.

Prima di entrare nella strada acciottolata bianca, ma “carrozzabile”, fiancheggiata da alti cipressi su ambo i lati, sulla destra, si apre il Parco di Mondeggi, creato in quello che già nel Seicento era conosciuto come “Il Pollaio”, cioè il bosco dove la sera gli uccelli vanno a dormire. Oggi è una splendida oasi di silenzio e di pace, perfettamente attrezzata e ricca di un diffuso microcosmo di piante e di arbusti selvatici. Il mondo animale è ampiamente rappresentato da uccelli (allodole, quaglie, averle, calandri), da rapaci diurni e notturni (poiane, falchi, barbagianni, civette) e da anfibi e rettili (rane, rospi, lucertole, salamandrine, biacchi, serpi). Sentieri e ponticelli in legno che attraversano i piccoli fossi permettono di passeggiare in questo bosco di pini, cipressi, cedri e alti quercioli svettanti verso il cielo.

Nel centro del parco era stato creato un laghetto a forma di cuore e sulla sua sponda rimangono ancora i resti del monumento Agli sponsali (una colonna ora atterrata). Nel basamento della colonna, una lapide ricorda che il 23 settembre 1844 il conte Ugolino Della Gherardesca sposò Giulia Giuntini e che questo fu il suo dono di nozze, oltre alla creazione del Parco privato con sentieri e vialetti.

Monumento agli Sponsali nel parco del Pollaio

Usciti dal parco, arriviamo al “Cisternone di Acqua Potabile” che, sempre il conte Ugolino, fece costruire nel 1856 immettendovi le acque provenienti da Fonte Santa con il condotto mediceo per servire la propria villa di Mondeggi. Con questo ulteriore sfruttamento, la portata d’acqua non fu più sufficiente per servire tre ville tanto che, nel 1892, i Della Gherardesca stabilirono che «non c’era più l’obbligo di mandare l’acqua alla villa di Lappeggi, e solo una servitù di una porzione d’acqua per alimentare la fonte della villa di Lilliano, che ha diritto a 24 ettolitri al giorno». Fu un vero sopruso, ma allora erano i Della Gheradesca che dettavano legge nella zona e la loro villa preferita era quella di Mondeggi. I Medici erano scomparsi da oltre un secolo. 

Di fronte alla Conserva si apre il vialetto, un tempo contornato di roseti e di palme, che porta alla villa. All’inizio e alla fine c’erano le statue in pietra delle “Quattro Stagioni” risalenti alla metà del Seicento e raffigurate allegoricamente da quattro fanciulle ad altezza naturale. L’Autunno portava in grembo un cesto con dei grappoli d’uva. L’Inverno, detta la Pietrina, aveva del pane fra le mani. L’Estate teneva nella mano destra un fascio di spighe di grano e nella sinistra un cesto. La Primavera non aveva più la testa (gli era stata rubata, chissà quando?).

La statua dell’Estate

La statua dell’Estate è l’unica rimasta sul piedistallo all’esterno di fronte al cancello della villa. L’Autunno e l’Inverno furono rubate nella notte fra il 21 e il 22 dicembre 1988 e recuperate dai carabinieri l’11 gennaio 1989. Nel 1994 le due statue furono restaurate dall’Opificio delle Pietre Dure e collocate nel giardino interno della villa per preservarle dalle intemperie e dai ladri, dove si trovano tuttora protette da orrendi tralicci in ferro coperti di ruggine. La Primavera non si sa che fine abbia fatto.

Ecco, ora, la villa di Mondeggi che appare in tutta la sua imponenza con una facciata tinteggiata di giallo e rosa sovrastata da un orologio e da un grande stemma Della Gherardesca con corona marchionale. Antico possesso dei Bardi già nel 1427, passò poi ai Portinari e ai Guidetti i quali la vendettero nel 1538 ai conti Della Gherardesca che l’hanno tenuta per quattro secoli fino al 1938. Dal 1964 è proprietà dell’Amministrazione Provinciale di Firenze, oggi Città Metropolitana.

Attualmente versa in un triste e generale abbandono, soprattutto all’esterno, ma, nel passato, è stata uno splendido luogo di villeggiatura della famiglia Della Gherardesca fra i cui componenti, per ultimi, ci sono stati Camillo, Guido Alberto, Ugolino e Walfredo che, oltre ad ampliare la tenuta fino a duecento ettari con numerose case coloniche, abbellirono la villa con opere d’arte di valenti artisti e crearono un vero museo di opere antiche con quadri di Lorenzo di Credi e dell’Angelico, mobili del XV e XVI secolo, porcellane di Urbino, vasi artistici, cristalli e vetrate istoriate del Mossmeyer.

Un salotto all’interno della villa di Mondeggi (foto F. Matteini)

All’esterno ci sono giardini pensili con vasche, statue, piante secolari e una grande meridiana fatta fare nel 1850 dal famoso astronomo padre Antonelli dell’Istituto Ximeniano. In mezzo al giardino si trova una cappella che il conte Ugolino ricostruì nel 1862 con un bel mosaico di vetro veneziano sul portale d’ingresso e affreschi all’interno.

Alla proclamazione del regno d’Italia nel 1861 i Della Gherardesca allestirono una strabiliante illuminazione della villa e di quella di Lappeggi. Fu una festa insolita che è stata ricordata per i decenni successivi da più generazioni di coloni mezzadri.

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