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domenica, Maggio 5, 2024
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La Pro Loco per Bagno a Ripoli sarà a Prim.Olio il prossimo Sabato e Domenica

Vieni a conoscerci!!!

La Pro Loco per Bagno a Ripoli sarà presente a Prim.Olio con uno stand in cui sarà possibile fare domande, proporre Iniziative utili per far conoscere il territorio di Bagno a Ripoli e ritirare gratuitamente la Bagno a Ripoli Card che permette di ottenere sconti nelle attività aderenti. Se vuoi diventare protagonista della vita associativa della Pro Loco sarà anche possibile iscriversi all’associazione con soli €5 ed essere sempre aggiornato sulle iniziative che organizza. inoltre sarà possibile acquistare l’ultimo libro di Massimo Casprini, storico ripolese, edito dalla Pro Loco per Bagno a Ripoli: Bagno a Ripoli storie ambiente arte.

Sabato pomeriggio Special Guest dello stand sarà proprio lui, Massimo Casprini con l’angolo firma copie, un’ottima idea regalo anche per il prossimo Natale.

Prim.Olio è la mostra mercato dell’olio di qualità prodotto nel territorio ripolese. Una festa per assaggiare e comprare l’oro verde dei produttori locali. L’occasione è ghiotta anche perché sarà possibile vedere la frangitura in diretta delle olive, momento di richiamo atteso anche dal pubblico più giovane, così come le lezioni di assaggio con gli esperti dell’olio e gli show cooking con gli chef del territorio per ricette che avranno come protagonista l’olio nuovo ripolese, che come da tradizione si sfiderà con il concorso “Gocciola d’oro”.

Il nostro stand è aperto a tutte le associazioni ed attività economiche del territorio che vogliono promuovere le loro iniziative: contattaci a promoproloco@gmail.com ed avrai il tuo spazio.

Da Fonte Santa a Capannuccia

Gavignano

By Andrea Misuri

Tra i tanti sentieri che attraversano il territorio di Bagno a Ripoli, questo da Fonte Santa a Capannuccia è forse un po’ meno conosciuto di altri, ma in grado di farci scoprire dei posti che meritano assolutamente una sosta. Dai quasi 400 mslm di San Donato in Collina saliamo ai 650 di Fonte Santa. Circa 1500 m. per una strada in gran parte asfaltata. Sul ciglio della via, a Casa Gamberaia un cippo ricorda i contadini uccisi dai tedeschi il 3 agosto 1944 come rappresaglia dopo un conflitto a fuoco con la II Compagnia della Sinigaglia. 

La campagna ripolese
Di prima mattina sulla salita per Fonte Santa
Il cippo ricorda i contadini uccisi dai tedeschi
Lo specchio d’acqua ricoperto di ninfee
Fonte Santa

Costeggiamo un laghetto ricoperto di ninfee e arriviamo al Parco naturale di Fonte Santa, che prende il nome da una sorgente indicata in documenti che risalgono al XV secolo.  Alla fine del Seicento, collegandosi alla Fonte, fu possibile costruire il condotto voluto dal Cardinale Francesco Maria de’ Medici, fratello del Granduca Cosimo III, per portare l’acqua alla Villa Lappeggi. Nel Parco ci fermiamo al Rifugio. L’edificio, essenziale e severo, fu costruito nel 1935 per accogliere i gitanti che arrivavano per trascorrere una giornata in campagna, rivelandosi presto insufficiente per accogliere così tanti visitatori. Da qui il nome di Casina, arrivato fino ai giorni nostri. Una lapide ricorda che vi “trovarono ricovero i partigiani della Brigata Sinigaglia riorganizzando le loro file per la battaglia finale della Liberazione di Firenze”. I partigiani, arrivati  il 22 luglio, da Fonte Santa partirono la mattina del 4 agosto passando per Capannuccia, Grassina e Ponte a Ema, prima di giungere a Firenze e a Porta Romana essere immortalati in una foto divenuta immagine simbolo della Liberazione della città.

La lapide del Rifugio
Il libro sulla Brigata Sinigaglia con la copertina della foto a Porta Romana
Vista sulla valle
Il Vate
Famiglia di migranti
Il Cavallo Rampante

Ci troviamo su Poggio Firenze e stiamo percorrendo un breve tratto di quell’antica via Maremmana, lungo il crinale tra il Valdarno fiorentino e quello aretino, percorsa nei secoli dai pastori e dalle loro greggi. Si prosegue con il sentiero che si apre sulla vallata con Firenze in lontananza e il Cupolone ben visibile nella limpida giornata di sole. Dopo un bosco di castagni e pini marittimi sbuchiamo in una grande radura circondata da un semicerchio di ulivi piantati recentemente. Sparse qua e là, grandi pietre scolpite raffigurano personaggi misteriosi e pieni di fascino. Le statue sono di Antonio Crivelli, scultore ripolese appassionato e visionario. Statue come quella del Vate, il mantello attorcigliato intorno all’enigmatico volto. Quella della Famiglia di migranti con il loro carico di dolore imprigionato nel macigno. O ancora quella del Cavallo Rampante, che ricorda le incisioni nella roccia dei nostri progenitori. Colpisce l’atmosfera che si respira in questo grande prato. Di serenità, di calma, qualcosa di profondamente suggestivo che invita alla fermata. Siamo in località Gavignano e costeggiamo una grande fattoria. E’ una   costruzione in pietra di fine ‘300, perfettamente restaurata, dalle linee semplici e forti, come spesso troviamo nella campagna toscana.  

Sassoscritto
Il Palazzaccio
Il campanile a vela
L’Oratorio di San Donato a Campignalla
L’Oratorio tra luce e ombra (particolare)

Facciamo una deviazione di poche centinaia di metri per fermarsi al Sassoscritto. Tutto comincia in quella seconda metà del Seicento quando in questa zona ferveva una grande attività per costruire ed abbellire  ville tra le quali quella di Lappeggi del Cardinale Francesco Maria. Uno scalpellino scopre nel bosco una pietra con incise lettere etrusche. Nel secolo successivo, la roccia contenente l’iscrizione viene staccata e attualmente è visibile al Museo Archeologico di Firenze, sostituita da una copia con errori di trascrizione che a lungo hanno contribuito a confondere gli studiosi. In realtà il testo – forse con qualche delusione per gli appassionati di etruscologia – indica semplicemente un confine territoriale. Oggi un minuscolo cartello lungo un sentiero del bosco segnala il Sassoscritto. E comunque, per raggiungerlo, è necessario arrampicarsi fino alla roccia in questione.

La grande radura delle statue
Particolare della cancellata
I colori dell’autunno

Scendiamo attraverso un bosco di castagni fino al Palazzaccio di Marcignano. Oggi restano poche mura sbrecciate, sufficienti per far intuire l’antico splendore di quella “Torre con fortezza” indicata nei documenti catastali del Trecento. Ancora all’inizio del Seicento, l’Arcadia dei Pastori Antellesi, che raccoglieva poeti e letterati, dedicò a questo castello un’Epigrafe Commemorativa. E’ nella radura qui intorno che lo scultore Crivelli ha realizzato le sue prime statue incise nella pietra. Dodici sculture che ci raccontano i Dodici Apostoli.

La strada continua a scendere per via delle Tavarnuzze e Sant’Andrea a Morgiano. Annunciato fin da lontano dal campanile a vela che si staglia nel verde della campagna, quasi nascosto tra un gruppo di casolari,  l’ultima sosta è l’Oratorio di San Donato a Campignalla. La data della sua costruzione è incisa nella lapide a fianco della porta d’ingresso. Correva l’anno 1320 e il committente era Donato Benci. Restiamo a lungo ad ammirare l’austera costruzione, cercando d’immaginare come doveva essere la vita quotidiana a quel tempo. Riprendiamo il cammino per Capannuccia tra vigne e ulivi, macchiati dai colori pastello dell’autunno. Un paesaggio di straordinaria bellezza.

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Il Lonchio

La Lettura Lonchio

Mi è capitato tra le mani un articolo della rivista “ La Lettura “ del 1919. Era una rivista mensile pubblicata dal “ Corriere della Sera “. L’articolo scritto da Isidoro Del Lungo aveva come titolo: “ Lonchio Villeggiatura alpestre fiorentina di Lorenzo Magalotti “

Il Lonchio panorama

Procediamo con ordine; per chi non avesse contezza di chi fosse Lorenzo Magalotti, due righe per inquadrare il personaggio.

Lorenzo Magalotti, figura dimenticata del seicento, è stato un letterato, un diplomatico, un accademico della Crusca e dei Lincei, un uomo di scienza, un conoscitore di lingue europee e orientali, e nell’elenco sicuramente ho dimenticato qualcosa. Monumentale e fitta la sua corrispondenza con i più eminenti scienziati e letterati di quel tempo. Di famiglia nobile, per l’epoca aveva girato mezzo mondo, ma le estati preferiva passarle nella sua proprietà del Lonchio, poco distante da Antella. Come si apprende dall’articolo di Isidoro Del Lungo il Lonchio « fu la villa di Lorenzo Magalotti, e ricovero delle sue deluse ambizioni, delle sue malinconie, delle sue irrequietezze, è oggi una bella casa colonica….» Lorenzo Magalotti, grazie alla sua intensa attività diplomatica e ai suoi contatti con eminenti uomini della cultura europea, aveva viaggiato in lungo e in largo in Europa. Con la stagione calda sentiva la sua « alpe di Lonchio pizzicare di meraviglia come da Svezia ». Gran parte del suo tempo, in questa oasi di pace, lo dedicava a scrivere lunghe lettere agli amici, all’osservazione della natura e alle passeggiate. Scrittore fornito di uno stile lezioso, condito con un pizzico di francese, conservando un incantevole narrare toscano. Una rarità come il suo Lonchio.

Della « villa d’estate » ne tratta in una delle sue Lettere scientifiche ed erudite destinata a Giovanbattista Strozzi.

Capelvenere
Cascata

Diamo un’occhiata a quello che andava scrivendo: « E giù da questi monti scende incognita, per un dirupo tra le ceppate de’ castagni, un’acqua che non la vedete se non

quando è lì, e dopo aver lavato da dritto e da rovescio un masso di pietra viva , che ella si è lavorata a suo modo e rivestitolo in qua e in la di musco e di lunghissimi capelveneri, si rimette incognita per un borro, dove si precipita di nuovo tra i castagni…» Ditemi se questa non è poesia.

Trattava allo stesso modo argomenti che richiedevano rigore scientifico e altri con divagazioni fantastiche, lasciandosi a volte trasportare dall’immaginazione e dalla fantasia. Come quando, con dovizia di particolari faceva risalire l’etimo del luogo amato a un personaggio, frutto della sua fantasia, della Roma imperiale al tempo di Aureliano. Attraverso documentate indagini attribuite a padre Pietro Ambaracchi, lettore di lingue orientali in Pisa, Lonchio avrebbe avuto origine da Longino, no Cassio Longino retore, consigliere della regina Zenobia e alla quale aveva fatto ottenere per il regno di Palmira l’indipendenza da Roma. Non poteva riferirsi a questo Longino, poiché l’imperatore Aureliano l’aveva fatto giustiziare, ma a un suo improbabile figlio, Longino junior che durante un viaggio in Italia a fianco della regina Zenobia si era innamorato di queste terre a tal punto da chiedere alla sovrana di fargliele avere. Zenobia si era adoperata per esaudire il suo desiderio. Da Longino a Lonchino a Lonchio il passo è breve.

Busto di Zenobia

Della regina Zenobia, dalla mitica bellezza, sono rimaste delle sculture conservate nel Museo Nazionale di Damasco.

Torniamo ai luoghi ameni e alle dotte dissertazioni di quell’uomo dal multiforme ingegno che fu Lorenzo Magalotti. In un paio di lettere scambiate con l’archeologo fiorentino Filippo Buonarroti, cerca di ottenere dallo studioso della civiltà etrusca lumi sull’iscrizione rinvenuta su un masso della via maremmana. Su questa strada tracciata in tempi remoti e transitata da uomini e greggi per la transumanza nel 1667 uno scalpellino di Fiesole, Alessandro Pettirossi, rinvenne un masso affiorante nel bosco, con delle lettere incise. Dalla corrispondenza si apprende che Filippo Buonarroti a sua volta aveva passato l’incarico a Cosimo Della Rena di visionare il ritrovamento e dare una senso all’iscrizione.

Sasso Scritto

Cosimo Della Rena , studioso di storia etrusca, aveva cercato senza successo di decifrare quella lingua, rispose che nonostante un suo sopralluogo al Lonchio non era riuscito trovare quella pietra con l’iscrizione. Il Magalotti informato del mancato ritrovamento, si premuniva di scrivere al Buonarroti che lui le indicazioni aveva fatto di tutto per fornirle chiare e che la pietra « è scolpita in una rupe scoscesa, e il vento non la dovrebbe aver portata via, e la potrebbe trovare un cieco, perché, camminando, la strada è interrotta da un pietrone staccata apposta per trovare il pianodell’iscrizione…» aggiunge ironizzando « … e per segno più preciso, vi avrebbero da essere ancora i gusci delle uova … » che Lorenzo Magalotti si era portato per colazione.

SASSOSCRITTO

Per molti anni il Sasso Scritto, come fu battezzato dagli abitanti del luogo, rimase dove il conte Lorenzo aveva fatto uno spuntino a base di uova sode e più precisamente nel punto della via Maremmana individuato come La Gabella prima di essere rimosso e sostituito con una copia. L’originale si trova al Museo Archeologico di Firenze. In seguito studiosi hanno stabilito che si tratta di un tular ossia una pietra di confine.

Al di là delle tracce storiche che il Lonchio ci ha suggerito è stato un piacevole pretesto per leggersi quelle lettere che si scambiavano gli uomini di cultura del seicento.

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L’Orto – Giardino di Castel Ruggero

Vista aerea villa di Castel Ruggero

by Andrea Bettarini

Unico. Non mi sento di definirlo altrimenti. Questo orto – giardino sulle morbide colline a sud del territorio di Bagno a Ripoli al confine con il comune di Greve in Chianti ha una storia inconsueta. La fattoria di Castel Ruggero della famiglia D’Afflitto sorge tra due poggi quello della Fontanaccia e l’altro di Tizzano, incastonata al pari di una pietra preziosa su un elegante monile.

Primo mattino di luglio, il caldo afoso di questi giorni ancora non ha avuto ragione. Incontriamo Margaux, da un paio d’ore già in campo, la giornata per lei inizia presto. E’ lei che ci accompagna nella visita all’orto giardino; non facciamoci ingannare dalla giovane età e dal grazioso aspetto della nostra guida. Margaux è una progettista di giardini, con esperienza in coltivazioni biologiche. I centoventi ettari di terreno della fattoria sono in gran parte destinati alla vite e all’olivo. Mentre ci avviciniamo alle colture Margaux descrive la natura prevalentemente argillosa del terreno. Quando suo padre, Niccolò D’Afflitto, enologo di professione, ebbe l’idea, insieme a sua moglie Pascale di creare un orto – giardino fu necessario rendere più sciolto il suolo, circa un ettaro e mezzo, con terra di fiume. L’area fu divisa in nove grandi aiuole che avrebbero permesso la rotazione annuale delle colture. Dopo aver effettuato il sovescio, per arricchire il suolo e tener lontane le erbe infestanti iniziò la piantagione. Ci avviciniamo alla zona coltivata a pomodori, filari di piante una accanto all’altra. Una specie di pomodoro diversa da quella accanto fino a contarne più di cinquecento.

Una varietà incredibile di forme e colori. Le piante così vicine le une alle altre possono ibridarsi, di ogni specie non viene conservato il seme ma ogni anno nell’orto – giardino di Castel Ruggero preferiscono partire da semi nuovi di fornitori che ne garantiscono l’autenticità.
Margaux entra tra i filari, coglie da una pianta alcuni esemplari per mostrarceli: « Questo è il pomodoro nero, molto apprezzato per le insalate.» Ne coglie altri: « Questi a forma di goccia e del colore giallo dorato sono le lacrime dello zar, originarie della Russia, sono molto belli, decorativi, ma molto, molto acidi. » Di alcune specie consiglia di usarle per un ragù oppure per la pappa col pomodoro.

Margaux potrebbe continuare; una bella impresa solo ricordare il nome di tante specie. Continua la visita muovendosi tra piante da frutti ormai dimenticate; fichi, nespoli, giuggioli, sorbi, cornioli. Piante rustiche e resistenti alle malattie. Tutto all’insegna della biodiversità. Dinanzi a noi una pergola con singolari specie di zucche rampicanti:

Zucche da cucinare in centinaia di modi, zucche non soltanto destinate all’uso alimentare, come quelle varietà, che in Africa o in America latina, dopo essere svuotate ed essiccate diventano pratici contenitori d’acqua. In passato i pescatori fiorentini le usavano come vasi per trasportare i pesciolini appena pescati in Arno. Altre vengono trasformate in strumenti musicali, molte varietà sono simpatici oggetti ornamentali.

Lo stupore continua tra melanzane e peperoni, ravanelli, agli e cipolle.
Un’armonia di forme e colori.
Attraversiamo una pergola gremita di fiori; glicini, lillà, rose rampicanti, passiflora, gelsomini. Ai lati fiori, fiori e ancora fiori. Non mancano le infiorescenze di cipolle e di aglio, finocchio selvatico che si uniscono a cespi di lavanda, erbe aromatiche e piante officinali.

Una splendida macchia di canna indica fiorita con foglie brune striate di verde scuro che contrastano con l’arancio rossastro dei fiori. Fino ad arrivare a una zona dedicata alle peonie.

Questo è il regno di Pascale. Se per il marito Niccolò la passione sono gli ortaggi per Pascale sono le peonie. Ne coltiva un centinaio di varietà alcune arbustive altre erbacee e non solo, altri fiori amati sono le dalie, gli anemoni, le euphorbie e le zinnie: un discreto numero di specie di fiori da taglio per mazzi e composizioni. Ancora crocos e non potevano mancare i giaggioli.

A differenza di quello che possiamo pensare questo è un giardino un po’ diverso dal solito; niente aiuole geometricamente perfette, vasi di terracotta vuoti ai bordi dei camminamenti, zappe e vanghe appoggiate a un fontanello, annaffiatoi. Tutto reso armonioso nel suo insieme, niente sembra fuori posto. Intanto Margaux ha scorto sua madre intenta a travasare piantine di fiori vicino a una serra. Poco dopo Pascale era insieme a noi. La conversazione è proseguita toccando i più svariati argomenti, dal cambiamento climatico, alla necessità di scegliere piante che non richiedano grande quantità di acqua, alla magica cornice della villa che in un recente passato ha ospitato serate di musica classica, concerti di lirica e cene con prodotti di fattoria e vini della cantina. Pascale ama la musica e il bel canto, a livello amatoriale, fa parte di un coro di musica classica. La chiacchierata scivola via come tra persone che si conoscono da tempo. Madre e figlia sono di una gentilezza unica.

Ci salutiamo, l’ultima immagine che mi cattura è il maestoso cedro del Libano dinanzi alla dimora storica. L’imponente pianta ancora orgogliosamente impettita nonostante la mutilazione della cima subita, da una granata, durante l’ultima guerra.

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IL PARADISO RITROVATO …DIVAGAZIONI SUL DIVIN POETA

Locandina IL PARADISO RITROVATO ...DIVAGAZIONI SUL DIVIN POETA - l'evento organizzato dalla Pro Loco per Bagno a Ripoli il 28 novembre 2021

Un programma ricco ed avvincente quello presentato dalle compagnie culturali e teatrali del territorio di Bagno a Ripoli. Diretti dal regista Angelo Paolo De Lucia gli artisti ripolesi ci allieteranno reinterpretando il Divin Poeta ai giorni d’oggi. Più di 100 teatranti coinvolti compresi i danzatori esperti in balli d’epoca. Nell’anno della ricorrenza dei 700 anni trascorsi dalla morte di Dante Alighieri, la Pro Loco per Bagno a Ripoli coinvolge tutti i cittadini in uno spettacolo che per condizioni meteorologiche avverse dal 19 settembre è stato rinviato al prossimo 28 novembre. Uno spettacolo itinerante che si svilupperà negli ambienti (al chiuso) della splendida cornice dell’ Antico Spedale del Bigallo a Bagno a Ripoli (Via Bigallo e Apparita 14). I numeri dei partecipanti sono limitati anche per rispettare le normative di distanziamento anti contagio Covid19 previste dal particolare momento che stiamo vivendo. L’iscrizione è obbligatoria e si effettua cliccando su questo link.

Il primo spettacolo è alle ore 10:00, si susseguiranno due repliche: una alle 15:00 ed una alle ore 17:00.

Tutti gli aggiornamenti e le presentazioni delle singole compagnie saranno pubblicate sull’account FaceBook, seguiteci!!!!

Con l’occasione dello spettacolo sarà possibile diventare soci della Pro Loco Per Bagno a Ripoli, richiedere la Bagno a Ripoli Card ed acquistare il nuovo libro su Bagno a Ripoli con gli aneddoti dello storico ripolese Massimo Casprini appena pubblicato dalla Pro Loco per Bagno a Ripoli.

Vi aspettiamo numerosi!!!

IL PARADISO RITROVATO …DIVAGAZIONI SUL DIVIN POETA – 28 novembre 2021 ore 10:00 – 15:00 – 17:00 all’Antico Spedale del Bigallo a Bagno a Ripoli
Il libro di Massimo Casprini edito dalla Pro Loco per Bagno a Ripoli, con il contributo del Rotary – Club Bagno a Ripoli.
“BAGNO A RIPOLI: storia, ambiente, arte”

BAGNO A RIPOLI: STORIE, AMBIENTE, ARTE. Il libro di Massimo Casprini.

Il libro di Massimo Casprini edito dalla Pro Loco per Bagno a Ripoli, con il contributo del Rotary - Club Bagno a Ripoli. "BAGNO A RIPOLI: storia, ambiente, arte"

Si ripartirà. Quante volte ce lo siamo detto da quel marzo 2020. Ebbene, mentre tutto si è fermato la Pro Loco per Bagno a Ripoli ha cercato di coinvolgere tutti i suoi cittadini e operatori affinché nessuno si sentisse solo. Abbiamo stretto la proficua collaborazione con il neonato Rotary – Club Bagno a Ripoli con il cui contributo abbiamo stampato il libro. Abbiamo attivato la Bagno a Ripoli Card che ha coinvolto e dato la possibilità di presentarsi a tanti operatori economici e società sportive in cambio di agevolazioni e sconti alla comunità. Semplici cittadini si sono messi a disposizione per raccontarci la loro Bagno a Ripoli e poi Massimo Casprini, grande esperto del territorio, con la sua rubrica storica ci ha appassionato alle ‘storie di storia’ di Bagno a Ripoli.

Puntuale, meticoloso e gran narratore. Tutti i martedì, Massimo Casprini ci racconta su questo portale e sui nostri social, aneddoti curiosi e la storia dei luoghi anche meno conosciuti del territorio di Bagno a Ripoli.

BAGNO A RIPOLI: STORIE – AMBIENTE – ARTE è il titolo del libro della ripartenza alla scoperta del nostro territorio.

SABATO 16 OTTOBRE 2021, alle 17.30, presso il Circolo ricreativo dell’Antella MASSIMO CASPRINI presenta il suo libro. Noi saremo con lui. Non mancate!!! Ci sarà la possibilità di acquistare il libro in loco, parlare e confrontarsi con il suo autore e non mancherà il firma copie!!!

Ringraziamo per il loro patrocinio alla pubblicazione ed all’iniziativa, il Comune di Bagno a Ripoli e il neonato Rotary – Club Bagno a Ripoli che saranno presenti all’evento con i loro rappresentanti.

Vi aspettiamo numerosi.

I posti sono limitati. Per rispettare la normativa vigente per la prevenzione Covid-19 abbiamo bisogno dell’iscrizione all’evento cliccando qui.

 

Chi è Massimo Casprini

LA BATTAGLIA DELL’INCONTRO a Bagno a Ripoli

Candeli oggi

3 – 9 Agosto 1944

Il popolo di Candeli sotto assedio

La notte fra il 3 ed il 4 Agosto del 1944 fu la data che vide i nostri bei ponti di Firenze crollare per mano delle bombe tedesche. Solo il Ponte Vecchio fu salvato, ma furono sacrificati i borghi posti ai suoi ingressi che con le loro macerie ammassate davanti ne impedivano comunque l’attraversamento. Quella notte era in corso l’evento che fu definito “la battaglia di Firenze”: alleati e partigiani misero a ferro e fuoco la città per giorni, cacciando prima i tedeschi che nella loro ritirata distruggevano dietro a sé le vie di comunicazione per prendere vantaggio nella fuga e poi stanando i fascisti nascosti nelle case da dove sparavano a tutti.
Fino a poco tempo fa in piazza Gavinana i palazzi avevano ancora i buchi dei proiettili impressi nell’intonaco delle facciate a memoria di quei giorni. Dopo le insurrezioni e gli scontri vedemmo il primo governo libero della città con sindaco Gaetano Pieraccini del PSI, vicesindaci, Adone Zoli della DC e Mario Fabiani del PCI. Tutti partigiani.
Qualche giorno fa parlando di villa LaTana ho ricevuto la richiesta di approfondire un poco di più di alcuni tragici fatti accaduti a Candeli durante quella battaglia dove l’incosapevole protagonista è stata mia madre Maia.
Maia oggi!
Maia Faina è nata a Villa Basilica in provincia di Lucca nel 1936, suo padre Gino e sua madre Giuseppina Frugoli si spostarono a Candeli per lavorare alla cartiera di proprietà di un altro lucchese, Raffaello Bocci. La famiglia comprendeva anche la sorella Vanda nata nel 1930 ed il piccolo Roberto classe 1943 che alla data dei fatti aveva 16 mesi. In quel periodo mia nonna Giuseppina si offrì per dare il latte anche ad un bambino di nome Mario Ansaldi che aveva il padre al fronte e la madre ammalata in ospedale e nessuno lo poteva accudire, quindi in casa c’era anche lui.
Uno scorcio del Borgo vicino alla Badia
Altro scorcio
Il circolo di Candeli
Ecco, il racconto di Maia comincia….
Dovete scusarmi ma i miei ricordi sono i ricordi di una bambina di otto anni e non sempre sono precisi.
Durante l’invasione tedesca spesso la gente intorno a Candeli ed alla cartiera urlava il mio insolito nome a gran voce “Maia, Maia!”. Non c’era nessun altro con quell’appellativo e non ci si poteva confondere. Questo era il messaggio in codice che avvisava senza destare sospetti che stavano arrivando nel borgo le truppe dei soldati di Hitler e spesso questi avevano il vizio di rastrellare gli uomini giovani per obbligarli a lavorare per i loro manufatti o per vari servizi a loro utili. Chi era in collaborazione con i partigiani, si dileguava. Il più delle volte queste persone erano messe a guardia delle linee telefoniche provvisorie che i tedeschi installavano nei vari luoghi con dei cavi che strisciavano a terra. Ovviamente nessuno si voleva prestare a dare loro aiuto ed allora con la scusa di chiamarmi, (era normale richiamare una bambina persa di vista) tutti capivano che si dovevano dare alla macchia nei boschi vicini, anche perché c’era sempre il pericolo di essere fucilati sul luogo per una sciocchezza o deportati nei lager.
Quando suonavano le sirene di attacco aereo da parte degli alleati a Firenze, le sentivamo anche noi a Candeli. Da quel momento sapevamo che dovevamo nasconderci perché colpivano molto vicino a casa nostra che era proprio sulla sponda dell’Arno, alla cartiera. Il bersaglio era la ferrovia che correva da Firenze a Pontassieve, quindi le bombe cadevano a Rovezzano, al Girone, l’ Anchetta, le Sieci ed in particolare Pontassieve che fu bombardato 16 volte.
Se l’allarme suonava di giorno, si scappava nel bosco sopra a via di Rosano scavalcando il muro a terrazzamento sopra la strada.
Gli aerei arrivavano in formazioni di dieci o dodici, ma volavano tante flotte ed il cielo si riempiva, erano una moltitudine. Se volavano bassi non sganciavano le bombe ma mitragliavano. Il giorno della mia prima comunione, in giugno, distrussero la ferrovia dal Girone fino a Pontassieve. In quella occasione il babbo si arrabbio’ perché diceva che “noi siamo qui a festeggiare e dall’altra parte la gente muore”.
Se invece gli alleati bombardavano di notte, ci rifugiavamo in cartiera, di fronte all’ambiente dove era collocata la macchina per la produzione della carta, nella stanza seminterrata dove erano i “magli”, dei macchinari utilizzati per delle lavorazioni. Tutti lì dentro, assieme alla famiglia Sabatini che lavorava con noi, guardavamo i bengala scendere lenti. Illuminavano come se fosse stato giorno l’oscurità. Poi, resi visibili gli obiettivi agli occhi dei piloti arrivavano gli ordigni dagli aerei in volo per colpire la sponda opposta.
I partigiani venivano dal bosco, arrivavano a Candeli, scendendo dal monte dell’Incontro e da Villamagna dove vivevano accampati e nascosti dagli alberi. Attraversavano l’Arno in estate, quando era basso, camminando sulla pescaia: uno di questi mi ricordo bene che si faceva chiamare “Lupo”. Nelle loro scorribande una volta si dimenticarono una bomba a Candeli, dove c’era il passaggio dei partigiani, alla casa della Pierina Gaggi moglie di Raffaello Bocci, proprietario della cartiera.
Il 3 Agosto una truppa di tedeschi arrivò da via di Rosano proveniente da Firenze e si fermò nei piazzali della cartiera con carri armati, camion e cannoni. Si accamparono lì da noi e cominciarono a tagliare le frasche degli alberi per coprire con queste i loro mezzi e nasconderli alla vista di alleati e partigiani. Eravamo terrorizzati: li avevamo in casa.
Salimmo tutti quanti al piano di sopra della casa sulla cartiera, noi Faina ed i Sabatini. I tedeschi andarono nella fabbrica e dentro la caldaia ci misero una bomba. Tutto il resto del macchinario lo distrussero a mazzate. Prima di fare esplodere l’ordigno un soldato che parlava un po’ di italiano ci disse di andare via perché “qui booom”…poi aggiunse facendosi capire che dovevamo andare ai piani bassi perché se anche ci avessero tirato una cannonata dall’altra sponda sarebbero caduti i piani alti ma non le fondamenta dell’edificio. Sapevano che sarebbe cominciato l’inferno. Il babbo fortunatamente aveva aperto la botola di chiusura della caldaia e quando esplose l’onda d’urto fece molto meno danno. Intanto sia lui che Raffaello Bocci  si erano nascosti, erano due uomini giovani e forti, rispettivamente di 36 anni entrambi e potevano essere catturati. Così scapparono tutti e due nel bosco di sopra saltando via dalla turbina che produceva energia elettrica per la cartiera. Questa era nella gora al pelo dell’acqua dell’Arno.
I tedeschi poi andarono nel pollaio di non so chi e rubarono delle oche bianche ( i “loci”). Le uccisero per mangiarle e poi il solito soldato che parlava italiano si presento’ con i fegati degli animali in mano e sia a mia madre che ai Sabatini disse porgendoglieli “questi sono per bambini”.
Da questi due episodi ho sempre pensato che non fossero tutti così cattivi. Molti erano costretti a fare la guerra, magari in Germania erano contadini ed operai come noi.
Andarono via con il loro carri armati di notte, io non mi ricordo e non mi sono accorta di nulla a riguardo della loro partenza. Il giorno 4 Agosto di mattina, Raffaello ed il babbo ci chiusero tutti in casa a chiave ed andarono verso Rimaggino, alla Cipressa, a vedere cosa era successo alla moglie del Bocci Pierina Gaggi e alle sue bambine, Maria Teresa ed Anna (“Teta” ed “Annuccia” ancora oggi sono i loro affettuosi soprannomi e tutti le chiamiamo così). Dopo un poco sentimmo delle voci che dicevano che Dario Ducci, di 14 anni, e Basilio Salvadori erano morti calpestando una mina antiuomo. Le stesse mani che ci avevano offerto i fegati di oca forse avevano messo a terra delle insidie così subdole. La mamma si preoccupo’ per il babbo e dopo un poco di tempo uscimmo dalle bugie delle persiane per andare a vedere cosa era successo ed il Dottor Bifani che era il medico condotto, con aria mesta ed un completo indosso di giacca e pantaloni di colore chiaro venne a dirci che il babbo e Raffaello erano morti anche loro nello stesso modo. Trattennero la mamma a forza perche’ voleva vedere il marito: andare sarebbe stato troppo pericoloso, gli sminatori non erano passati. Allora ci nascondemmo nella gora sull’Arno, nella turbina dove rimanemmo nascosti tutti per almeno due o tre giorni in disperazione. Ogni tanto dal borgo di Candeli scendeva giù il Monducci che era sacerdote. Questi saliva al piano più alto della casa e ci chiamava per sapere se eravamo ancora vivi. L’ andirivieni di quest’ uomo, diede nell’occhio sulla sponda opposta e gli alleati cominciarono a spararci delle cannonate, allora il Berti, di nome Gino, che di mestiere faceva il renaiolo prese la barca e ci raggiunse. Salimmo con lui e ci traghetto’ fuori dalla gora, un viaggio di pochi metri sull’ acqua e fummo a terra. Ci ospitò tutti in casa sua il Dottor Bifani, che viveva nella prima villa che si incontra prima di salire alla chiesa della Badia a Candeli, proprio dove erano le salme ancora a terra del babbo colpito probabilmente alla testa da una scheggia, di Raffaello Bocci e di Ferdinando Puccianti che dato lo stato del cadavere doveva aver calpestato proprio in pieno una mina, probabilmente anticarro vista la buca enorme che produsse.
 In tutti questi giorni siamo stati sotto le bombe perché una furiosa battaglia si stava svolgendo sul monte dell’Incontro dove un manipolo di tedeschi si era asserragliato nel convento che era protetto da bastioni e muraglie. Lassù almeno 250 o 300 civili si erano nascosti credendolo un posto sicuro. Il tentativo eroico dei germanici e praticamente suicida era di parare le spalle ad altre truppe che stavano fuggendo altrove. Sotto al convento si avvicinavano sempre di più i soldati britannici. (Quando sfondarono il muro di cinta i combattimenti si fecero addirittura corpo a corpo).
Il 9 di Agosto del 1944 Bagno a Ripoli fu definitivamente liberata dai tedeschi con la resa di quella postazione. In quel giorno gli inglesi presero il convento e quello scontro fu denominato “la Battaglia dell’Incontro”. Un episodio cruciale per la liberazione anche di Firenze di cui si è sempre parlato pochissimo.
I poveri corpi dei caduti a Candeli, rimasero in strada fino alla fine della battaglia dopo il 9 Agosto. Dario aveva perso una gamba che fu recuperata dalla madre disperata e fu ricomposto insieme a Basilio in casa della zia del ragazzino la quale aveva un figlio disperso, Alberto, deportato in Germania.
Un uomo detestabile venne a dire alla mamma di andare a togliere i cadaveri del babbo e dei compagni oppure li avrebbero bruciati. Furono tutti messi in delle bare e portati al Cimitero del Pino con un carretto  dove ancora oggi riposano.
Calmate le acque, dopo molto tempo, tornò miracolosamente a Candeli dai campi di sterminio Alberto Ducci cugino di Dario, rastrellato all’età di diciotto anni a Firenze. Era magrissimo e pieno di piaghe. Lo portavamo sulla pescaia al sole per far guarire le ferite. Io e la sua futura moglie di nome Mara stavamo attentissime che le mosche non si posassero su di lui.
Per molti anni Alberto ha parlato della sua storia nelle scuole agli studenti per far conoscere le terribili condizioni nei lager nazisti.
Gino Faina, il nonno di Benedetta Giannoni, autrice dell’articolo
Maia, (la più piccola) e Vanda sua sorella
Vanda, Maia ed il piccolo Roberto. Qui di sicuro poco prima della morte del nonno
Vanda, Maia ed il piccolo Roberto
Vanda e Maia alla colonia di villa la Massa
Qui son vestite da giovani balilla..cosa gli toccava fare. Sullo sfondo la cartiera
Ecco grazie al racconto della mia mamma abbiamo capito un po’ meglio cosa successe e solo in alcuni punti ho aggiunto qualche nozione storica per meglio far capire a chi legge la dinamica degli eventi.
Sul luogo dell’eccidio del babbo e dei suoi compaesani è sorto il Circolo di Candeli “Lo Stivale” come simbolo di rinascita e fraternità proprio come hanno dimostrato gli abitanti di Bagno a Ripoli in quei giorni aiutandosi a vicenda anche a rischio della propria vita. Candeli come abbiamo visto era una specie di grande famiglia che si era organizzata per resistere e difendersi. Molto hanno da insegnare a noi che oggi siamo così indifferenti a tutto.
Spero che il racconto che facciamo oggi della nostra liberazione possa essere un augurio di cessazione di ogni conflitto ed un modo per far capire alle giovani generazioni quanto costa la libertà.
Aggiungo solo questo: un grosso abbraccio alla mia mamma Maia che finalmente ha messo per iscritto questa storia se pur con il mio aiuto.
Roberto e Maia. Vanda purtroppo è defunta.
Con le nuove generazioni, Lorenzo e Ginevra i suoi nipoti.
Chi è BENEDETTA GIANNONI?

Benedetta Giannoni, nata a Firenze nel 1973, vive a Bagno a Ripoli da sempre, diplomata al liceo artistico, impiegata in un negozio che vende articoli sportivi. Da quasi 30 anni studia e balla danze antiche nel corpo di danza “Balletto Rinascimentale” della Contrada Alfiere, dipinge ed espone nella associazione Giuseppe Mazzon. Le piace il running e camminare. Adora gatti e cavalli.

Benedetta Giannoni, autrice dell’articolo
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A Ponte a Niccheri cent’anni fa LA SALA D’ASPETTO PE’ I’ TRANVAI

Il "Capannone" di Ponte a Niccheri nel 2016

By Massimo Casprini

Nel 1890, Ambrogio Lugo prese la diligenza in via delle Serve Smarrite a Firenze per raggiungere un suo amico a Grassina. Giunto a Ponte a Ema dovette proseguire sulla vecchia via Chiantigiana (oggi via Campigliano) perché era ancora in costruzione la nuova via Chiantigiana dove sarebbero stati posti i binari del tranvai elettrico. Nel suo diario di viaggio scrisse che «ci si dà a sperare non molto lontano un tramway anche dalle nostre parti».

Purtroppo, dovette aspettare ancora alcuni anni. Era dal 1884 che gli abitanti di Grassina premevano per avere un tram che prolungasse il percorso dal Bandino. Il servizio si rendeva indispensabile perché non erano più sufficienti e adeguate le quindici diligenze giornaliere che usavano i lavandai, i contadini e gli operai per recarsi in città. 

Finalmente, il 15 ottobre 1909 fu inaugurata la linea tranviaria da piazza del Duomo a Grassina con il numero 12 per una lunghezza di chilometri 9,150. Fu una grande festa popolare, enfatizzata soprattutto dai socialisti che in quegli anni avevano raggiunto il massimo consenso.

Quindi, grande soddisfazione dei grassinesi per un obiettivo raggiunto dopo tanti anni, ma non degli antellesi i quali si muovevano ancora con la diligenza condotta da Eugenio Daviddi e Carlo di Nappino. Fu allora, quindi, nel 1908 che il Comune di Bagno a Ripoli costruì il Capannone a Ponte a Niccheri al bivio di via dell’Antella con via Chiantigiana per ospitare una vettura a cavalli del servizio passeggeri Antella-Ponte a Niccheri e ritorno.

Ottobre 1895. Eugenio Daviddi con la sua diligenza sulla “spianata” del Niccheri

Non sappiamo se fu costruito ex-novo oppure su una preesistente piccola costruzione dove si trovava un’Osteria, già indicata nella carta I.G.M. del 1900, che era stata aperta nel 1885 circa per servire le numerose maestranze addette alla costruzione della nuova via Chiantigiana. Probabilmente, l’osteria fu chiusa quando finirono i lavori all’inizio del secolo.

Fin dal 1911 il servizio di collegamento dell’Antella con il Niccheri era stato svolto con un bagherre (detto l’Americhenne) – con tendine e tettoia per ripararsi dal sole e dalla pioggia – condotto da Eugenio Daviddi, anche per sedici corse giornaliere, il quale, il 23 ottobre 1917, dovette rescindere dal contratto di appalto perché non era più in grado di sostenere i costi per mantenere i tre cavalli necessari e di assicurare il trasporto gratuito degli agenti comunali. 

Dopo un breve periodo in cui il servizio fu svolto da Valentino Fantappiè che non riuscì a soddisfare gli antellesi, dal 1° giugno 1918 subentrò Bianco Bianchi, reduce dalla guerra, che assicurò fino a tutto l’anno 1920 nove corse giornaliere di «corrispondenza a cavalli Ponte a Niccheri-Antella con cavalli in buone condizioni e vetture in buono stato capaci di almeno dieci persone».

Il 7 giugno 1920 si era costituita la Società Elettrica. Servizio Trasporti Passeggeri-Antella per gestire un servizio automobilistico con l’omnibus da Antella a Ponte a Niccheri alle coincidenze con il tram di Grassina. Presidente fu Ottaviano Fantaccini, fattore a Belmonte, e amministratore delegato Giuseppe Benucci. Il servizio veniva svolto con due vetture mosse da “motore a scoppio”, “munite di vetri”, capaci di non meno di dodici persone ciascuna, guidate da Emilio Ermini di Lappeggi e Gino Mugnaini di Ponte a Ema.

Nel 1921, a seguito dei movimenti popolari riconosciuti come il Bocci Bocci, il Capannone fu scelto dal sindaco come luogo in cui portare all’ammasso l’olio d’oliva requisito alle fattorie in attesa di essere distribuito alla popolazione. Fu in quell’occasione che le poche case sulla riva destra al ponte del Gianni furono battezzate come “Il Niccheri Rosso” perché vi abitavano tutti personaggi socialisti con idee rivoluzionarie. 

Non essendoci più i cavalli da ricoverare, nel 1922 il Capannone del Niccheri fu convertito in deposito per le vetture del tranvai (sul davanti era aperto e le verghe entravano dentro per tutta la lunghezza) e poi in sala d’aspetto per i passeggeri dell’Antella che aspettavano il tram proveniente da Grassina.

Il cartello che segnalava una sala d’aspetto

La Società Mineraria ed Elettrica del Valdarno, che si era accollata la fornitura della luce pubblica nella zona fin dal 1920, installò una lampada anche nella sala d’aspetto del tram al Niccheri «per assicurare un po’ di luce agli abitanti dell’Antella che dovevano aspettare la coincidenza con il tram di Grassina».

Timbro e intestazione delle aziende che negli anni Venti del Novecento gestivano il trasporto passeggeri da Antella a Ponte a Niccheri

Nel 1924, la Società dell’Antella si era trasformata in Cooperativa Elettrica dell’Antella. Si confermava lo spirito sociale degli amministratori che avevano fondato «la Società non a scopo di lucro, ma con solo quello di mantenere un servizio pubblico tanto necessario per tutta la popolazione, specialmente per la classe operaia». Anche nell’applicazione delle tariffe si era voluto favorire gli operai stabilendo che «la corsa singola costa centesimi 40; se prolungata fino al cimitero, centesimi 50; per le corse operaie, andata e ritorno costa solo 50 centesimi».

Biglietto dei Tranvai Fiorentini del 1920, obliterato da piazza Duomo a Ponte a Niccheri dove si scendeva per raggiungere Antella a piedi o con l’omnibus.

Il marchese Venturi Ginori gli aveva concesso gratuitamente un locale nello stallone di via Pulicciano (dove oggi esiste il CRCAntella) da usare come rimessa per i due autobus.

La Misericordia dell’Antella stava già accordando alla Cooperativa un sussidio annuo di seimila lire con l’impegno di continuare fino a quando non fosse stata installata una propria linea tranviaria per il paese.

Nel Capannone del Niccheri fu ricavata anche una stanza per l’ufficio del Dazio e una per la vendita occasionale da parte del macello comunale di carne a basso costo, detta dei “Sant’antoni”, i bovini morti per infortuni o per cause naturali. In seguito, quel locale fu usato come deposito e officina comunale.

Il 18 settembre 1927 il ministro delle Finanze Giuseppe Volpi, con grande giubilo della popolazione e orgoglio della Misericordia e del Comune che avevano partecipato solidalmente e interamente alla spesa della diramazione di 2,320 chilometri dal Niccheri al paese, inaugurò la nuova linea tranviaria numero 27 da piazza del Duomo all’Antella lunga chilometri 10,120. 

Gli antellesi si resero indipendenti da Grassina e la sala d’aspetto nel Capannone fu abbandonata. Al Ponte a Niccheri, la strada e la linea tranviaria con verghe e traverse passava fra le case in mezzo al borgo in quanto, sul lato Nord, c’erano ancora estesi campi coltivati (lo svincolo attuale verrà realizzato nel 1972). 

Ponte Niccheri 15 aprile 1970

L’11 luglio 1944, per ordine del comando di occupazione tedesco, fu sospeso il servizio tranviario delle linee 12 e 27 da piazza di Badia a Ripoli a Grassina e a Antella. Chi non possedeva la bicicletta, andava a piedi perché, ormai, anche la diligenza e gli omnibus erano scomparsi da tanti anni.

Il 5 gennaio 1946, a seguito della riattivazione dei servizi dopo sette mesi, furono cambiati i numeri delle linee da 12 a 31 e da 27 a 32, che mantengono ancora oggi. L’atavica rivalità di campanile fra Antella e Grassina non poteva non esprimersi anche in relazione al tranvai. A Grassina erano convinti che il numero 32 – cioè il tramme dell’Antella – portasse male, quindi, si racconta che un grassinese, in viaggio di nozze, vedendosi assegnare la camera numero 32, istantaneamente cambiò albergo.

Finita la guerra, nell’importante crocevia del Niccheri dal quale era transitato anche Churchill durante la guerra, furono trovate quindici bombe di fabbricazione tedesca nascoste nell’attiguo forno, due bombe d’aereo inesplose nell’Isone e un carroarmato abbandonato proprio di fronte al Capannone.

Dal 1949 tutto il locale è la sede del Circolo Arci e del moto club con oltre ottanta soci. Finché è esistito, anche il P.C.I. ha avuto la sua sezione intitolata a Mario Agostinetti. 

Nel marzo 2021 sono stati completati i lavori di ristrutturazione e di messa in sicurezza dell’intero immobile.

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Orologi solari a Bagno a Ripoli: ogni cosa a suo tempo

Meridiana all'Apparita realizzata dallo gnomonista Simone Bartolini

By Massimo Casprini

In un passato non troppo lontano erano ancora poche le persone che possedevano un orologio, quindi le ore canoniche e gli orari di lavoro erano regolati dalle campane. 

Siccome anche per gli accenditori di lumi avere un orologio era un lusso che non si potevano permettere, era naturale che il segnale dell’accensione fosse dato dal suono delle campane con l’Angelus del tramonto (alle 18) che stabiliva la fine del giorno con la recita del Vespero, che imponeva a tutti d’inginocchiarsi per non incorrere in pene severe.

In effetti, l’Ave Maria veniva suonata altre due volte al giorno: L’Angelus dell’Aurora dava inizio alle attività artigianali ed era l’ora prima (alle 6) quando veniva recitato il Mattutino per ringraziare il Signore di un nuovo giorno e l’Angelus di mezzogiorno era l’ora sesta (alle 12) e indicava “l’ora del mangiare”. 

In un documento del 15 settembre 1867 si legge che i fanali in città dovevano «essere accesi alle Ventiquattro». Questo si spiega con il fatto che, allora, il computo delle ore del giorno andava da un avemmaria all’altra, cioè alla ventiquattresima ora (al tramonto), anziché da una mezzanotte alla successiva, come è oggi. 

Qualcuno si ricorderà che un’ora prima del tramonto si suonavano le Ventitrè come termine della giornata lavorativa. Si usava dire “Essere alle ventitrè” non soltanto per significare che si era arrivati al termine del lavoro, ma anche alla fine della vita. 

L’Or di notte, cioè la prima ora della notte, si suonava un’ora dopo il tramonto e in quel momento si doveva essere già “a casa o per la via” perché era pericoloso attardarsi per strada.

Quindi, l’uso delle campane non era limitato a un semplice richiamo dei fedeli in chiesa ma fu un vero e proprio codice da rispettare per segnalare e ricordare i momenti importanti del giorno e della notte, quando gli uomini avevano ancora un rapporto diretto con la natura «e non sapevano giudicare delle ore se non per mezzo delle campane».

Si può affermare che a promuovere un nuovo strumento per misurare il tempo sia stata la Chiesa allo scopo di poter calcolare le feste religiose in base alla posizione del Sole. Ecco che appare l’orologio solare. 

Con il termine Meridiana s’intende comunemente riferirsi agli orologi solari o comunque ai quadranti che indicano il trascorrere del tempo attraverso l’ombra di uno stilo (detto gnomone o ago) che, proiettata su un piano verticale o orizzontale, indica l’ora segnata sullo stesso quadrante.

Una delle meridiane a Case Nutrici a Sant’Andrea a Morgiano

Furono creati anche orologi solari portatili, da viaggio e notturni, non ultimo il famoso “Svegliarino monastico”.

Per costruire una meridiana era necessario sapere la latitudine, la longitudine e la declinazione del luogo dove veniva installata. La latitudine e la longitudine sono le coordinate geografiche mentre per declinazione s’intende come la parete è esposta rispetto al Sud. 

Fin dal 1858 era stato proposto di suddividere il globo terrestre in ventiquattro fusi a ciascuno dei quali doveva corrispondere un’ora. Inizialmente, la suddivisione cominciava dal meridiano che passava per Roma; ma fu una scelta che creò diatribe internazionali fino all’ultima decisione che scelse Greenwich come primo meridiano. In Italia il sistema venne adottato nel 1893.

Fino al 1925, anno in cui è stato trasmesso per radio il primo segnale orario, la meridiana serviva soprattutto per regolare gli orologi meccanici dei palazzi pubblici e dei campanili. 

Le nuove disposizioni imposte dal progresso e dalla velocità dettata dai treni e dal telegrafo decretarono il declino se non la definitiva morte dell’uso degli orologi solari a favore dei sempre più tecnologici orologi meccanici.

Quindi, le meridiane sono rimaste a testimoniare di come i metodi di misura del tempo abbiano subìto dei cambiamenti nei secoli. Qualche volta, si riconoscono come delle vere e proprie opere d’arte con l’aggiunta di motti latini riferiti al sole o al trascorrere del tempo. In alcuni casi, sono dei precisi e raffinati strumenti scientifici.

Orologio solare a Grassina dello gnomonista Roberto Ricci

Tuttavia, per lungo tempo gli orologi solari sono stati dimenticati, soggetti agli agenti atmosferici senza che nessuno si curasse di loro, salvo rare eccezioni. 

La ricerca delle meridiane presenti nel comune di Bagno a Ripoli ha richiesto molto tempo e una particolare attenzione verso le facciate esposte a mezzogiorno di ville, fattorie, castelli e di qualche abitazione privata sparsi nella campagna.

La maggior parte di questi affascinanti strumenti, anche i più antichi, sono in buone condizioni, ma alcuni sono talmente malridotti che soltanto un occhio esperto può risalire alla presenza di un orologio solare su una facciata. 

In data 16 giugno 2019, alla fine del nostro censimento ne abbiamo individuati ventisei che segnaliamo qui sotto, sui quali abbiamo già scritto un voluminoso libro in attesa di pubblicazione. Ad ognuno è stato attribuito il codice Sundial Atlas, l’Atlante internazionale degli orologi solari consultabile da ogni parte del mondo.

Antella, villa Miglioretto

Apparita, casa privata

Bagno a Ripoli, Liceo Gobetti

Balatro, villa Balatro-Bardi

Balatro, fattoria di Balatro

Balatro, villa Balatro Rosso

Candeli, villa di Majano

Case san Romolo, casa Massi

Croce a Balatro, casa privata

Fattucchia, villa Il Riposo

Grassina, casa Spazzavento

Grassina, studio Porcinai

Grassina, condominio san Michele

La Torre, villa Morrocchi 

Mondeggi, villa Della Gheradesca

Paterno, villa Il Poggio-Galilei

Paterno, villa Meridiana

Picille, villa Il Galateo-Adriani

Poggio Casciano, fattoria di Poggio Casciano

Quattro Vie, villa La Gambaccina

Rosano, abbazia delle Benedettine 

Ruballa, villa Le Corti a Ruballa

San Gersolè, chiesa di S. Pietro in Jerusalem

Sant’ Andrea a Morgiano, Nutrice di Sotto

Sant’ Andrea a Morgiano, Nutrice Nuovo

Sant’ Andrea a Morgiano, Nutrice di Sopra

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I GIARDINI DELLA RESISTENZA all’ANTELLA

By Andrea Bettarini

Lungo la sponda sinistra dell’Isone, nel centro di Antella, corre parallela Via Brigate Partigiane, di fronte si aprono i Giardini della Resistenza.

Un viale ombreggiato, sobrio, ordinato raggiunge un imponente cippo con un bassorilievo bronzeo dell’artista Gualtiero Nativi. Le panchine al riparo dei lecci invitano alla sosta.

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L’opera e in memoria dei caduti nella guerra per la liberazione dall’occupazione nazifascista. La laica sacralità del luogo è un composto invito a riflettere e non dimenticare. Sulla destra domina la scultura di Nativi, avvolta in una siepe d’alloro.

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Prati di un verde curato, passeggiandoci sopra si avverte la morbidezza del tappeto, si notano tracce evidenti di acqua in superficie. Oltre al prato anche le piante vecchie e nuove sono rigogliose facendo da contorno ai giochi per bambini.

Per i più piccoli:

e per i più grandicelli.

Incontro delle signore, mi salutano, è abbastanza presto di mattina, una si sofferma per scambiare due chiacchiere. Mi dice che lei e le sue amiche spesso si danno appuntamento ai giardini al mattino per fare un po’ d’esercizio fisico in una piazzola verde di fronte a degli orti recintati. Un anziano ci passa accanto con un paniere di verdure appena raccolte. Una giovane coppia prosegue lungo il viottolino pavimentato con il figlio di poco più di un anno sul passeggino. Raggiunte le panchine loro si siedono e il bambino, comincia a gattonare per terra poi prende l’aire e compie i primi passi incerti sotto lo sguardo attento dei genitori. Un anziano seduto al centro di una panchina con le braccia distese lungo la spalliera e gli occhi celati dietro gli occhiali da sole. Tutto parla di quiete e di silenzio. I giardini si animeranno nel pomeriggio.

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I Giardini della Resistenza, durante l’arco dell’anno sono sede di importanti manifestazioni popolari. Nel settembre del 2018 i Giardini diventarono teatro per una

esercitazione di protezione civile promossa dalla Confraternita di Misericordia di Santa Maria all’Antella insieme ad altre associazioni di volontariato operanti sul territorio. Furono simulati interventi di primo soccorso, recupero di escursionisti travolti da una frana, operazione di spegnimento di un principio d’incendio.

Le foto sono tratte dal sito della Confraternita di Misericordia di Santa Maria all’Antella

Durante il primo fine settimana e lunedì di ottobre si svolge l’Antica Fiera di Antella.

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I Giardini della Resistenza diventano una realistica imitazione di azienda agricola: esposizione di cavalli, bovini, capre, pecore e animali da cortile. Dimostrazioni di mungitura, lavorazione del latte e realizzazione di formaggi. Le farine di grani antichi, il pane cotto a legna e la pasta fatta in casa. L’estrazione del miele e la pappa reale dalle arnie. Degustazione di cibi naturali e genuini. Esibizione di cani da pastore e la loro capacità di imporsi dinanzi a un gregge di pecore.

I Giardini della Resistenza ospiteranno una scultura di Luca Cataldi autore dell’opera “ Ascoltami “. La scultura ha vinto il concorso promosso dall’Amministrazione Comunale di Bagno a Ripoli insieme a “ Fortezza “ di Francesco Battaglini che è già stata collocata nel Parco di Grassina.

L’opera di Luca Cataldi ha una forma sferica ed è realizzata in pietra e ferro, vuole “ esprimere il mondo inteso come pianeta “ e al suo interno “ il seme pronto a generare nuova e inarrestabile vita.
Luca Cataldi divide la sua attività artistica ed espone in varie città dell’Europa e il Brasile.

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Lo scultore Luca Cataldi e “ Ascoltami “ nella fase finale della realizzazione

da Qui Antella di Francesco Matteini.
Concludo a malincuore la visita a questo luogo, colmo di riferimenti eroici del passato, allo spirito di solidarietà del presente e uno sguardo di speranza nel futuro.

Mi preme ringraziare gli amici Roberta Tucci e Francesco Matteini che con le loro informazioni e fotografie mi hanno permesso di realizzare queste righe.

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