Il Lonchio

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Mi è capitato tra le mani un articolo della rivista “ La Lettura “ del 1919. Era una rivista mensile pubblicata dal “ Corriere della Sera “. L’articolo scritto da Isidoro Del Lungo aveva come titolo: “ Lonchio Villeggiatura alpestre fiorentina di Lorenzo Magalotti “

Il Lonchio panorama

Procediamo con ordine; per chi non avesse contezza di chi fosse Lorenzo Magalotti, due righe per inquadrare il personaggio.

Lorenzo Magalotti, figura dimenticata del seicento, è stato un letterato, un diplomatico, un accademico della Crusca e dei Lincei, un uomo di scienza, un conoscitore di lingue europee e orientali, e nell’elenco sicuramente ho dimenticato qualcosa. Monumentale e fitta la sua corrispondenza con i più eminenti scienziati e letterati di quel tempo. Di famiglia nobile, per l’epoca aveva girato mezzo mondo, ma le estati preferiva passarle nella sua proprietà del Lonchio, poco distante da Antella. Come si apprende dall’articolo di Isidoro Del Lungo il Lonchio « fu la villa di Lorenzo Magalotti, e ricovero delle sue deluse ambizioni, delle sue malinconie, delle sue irrequietezze, è oggi una bella casa colonica….» Lorenzo Magalotti, grazie alla sua intensa attività diplomatica e ai suoi contatti con eminenti uomini della cultura europea, aveva viaggiato in lungo e in largo in Europa. Con la stagione calda sentiva la sua « alpe di Lonchio pizzicare di meraviglia come da Svezia ». Gran parte del suo tempo, in questa oasi di pace, lo dedicava a scrivere lunghe lettere agli amici, all’osservazione della natura e alle passeggiate. Scrittore fornito di uno stile lezioso, condito con un pizzico di francese, conservando un incantevole narrare toscano. Una rarità come il suo Lonchio.

Della « villa d’estate » ne tratta in una delle sue Lettere scientifiche ed erudite destinata a Giovanbattista Strozzi.

Capelvenere
Cascata

Diamo un’occhiata a quello che andava scrivendo: « E giù da questi monti scende incognita, per un dirupo tra le ceppate de’ castagni, un’acqua che non la vedete se non

quando è lì, e dopo aver lavato da dritto e da rovescio un masso di pietra viva , che ella si è lavorata a suo modo e rivestitolo in qua e in la di musco e di lunghissimi capelveneri, si rimette incognita per un borro, dove si precipita di nuovo tra i castagni…» Ditemi se questa non è poesia.

Trattava allo stesso modo argomenti che richiedevano rigore scientifico e altri con divagazioni fantastiche, lasciandosi a volte trasportare dall’immaginazione e dalla fantasia. Come quando, con dovizia di particolari faceva risalire l’etimo del luogo amato a un personaggio, frutto della sua fantasia, della Roma imperiale al tempo di Aureliano. Attraverso documentate indagini attribuite a padre Pietro Ambaracchi, lettore di lingue orientali in Pisa, Lonchio avrebbe avuto origine da Longino, no Cassio Longino retore, consigliere della regina Zenobia e alla quale aveva fatto ottenere per il regno di Palmira l’indipendenza da Roma. Non poteva riferirsi a questo Longino, poiché l’imperatore Aureliano l’aveva fatto giustiziare, ma a un suo improbabile figlio, Longino junior che durante un viaggio in Italia a fianco della regina Zenobia si era innamorato di queste terre a tal punto da chiedere alla sovrana di fargliele avere. Zenobia si era adoperata per esaudire il suo desiderio. Da Longino a Lonchino a Lonchio il passo è breve.

Busto di Zenobia

Della regina Zenobia, dalla mitica bellezza, sono rimaste delle sculture conservate nel Museo Nazionale di Damasco.

Torniamo ai luoghi ameni e alle dotte dissertazioni di quell’uomo dal multiforme ingegno che fu Lorenzo Magalotti. In un paio di lettere scambiate con l’archeologo fiorentino Filippo Buonarroti, cerca di ottenere dallo studioso della civiltà etrusca lumi sull’iscrizione rinvenuta su un masso della via maremmana. Su questa strada tracciata in tempi remoti e transitata da uomini e greggi per la transumanza nel 1667 uno scalpellino di Fiesole, Alessandro Pettirossi, rinvenne un masso affiorante nel bosco, con delle lettere incise. Dalla corrispondenza si apprende che Filippo Buonarroti a sua volta aveva passato l’incarico a Cosimo Della Rena di visionare il ritrovamento e dare una senso all’iscrizione.

Sasso Scritto

Cosimo Della Rena , studioso di storia etrusca, aveva cercato senza successo di decifrare quella lingua, rispose che nonostante un suo sopralluogo al Lonchio non era riuscito trovare quella pietra con l’iscrizione. Il Magalotti informato del mancato ritrovamento, si premuniva di scrivere al Buonarroti che lui le indicazioni aveva fatto di tutto per fornirle chiare e che la pietra « è scolpita in una rupe scoscesa, e il vento non la dovrebbe aver portata via, e la potrebbe trovare un cieco, perché, camminando, la strada è interrotta da un pietrone staccata apposta per trovare il pianodell’iscrizione…» aggiunge ironizzando « … e per segno più preciso, vi avrebbero da essere ancora i gusci delle uova … » che Lorenzo Magalotti si era portato per colazione.

SASSOSCRITTO

Per molti anni il Sasso Scritto, come fu battezzato dagli abitanti del luogo, rimase dove il conte Lorenzo aveva fatto uno spuntino a base di uova sode e più precisamente nel punto della via Maremmana individuato come La Gabella prima di essere rimosso e sostituito con una copia. L’originale si trova al Museo Archeologico di Firenze. In seguito studiosi hanno stabilito che si tratta di un tular ossia una pietra di confine.

Al di là delle tracce storiche che il Lonchio ci ha suggerito è stato un piacevole pretesto per leggersi quelle lettere che si scambiavano gli uomini di cultura del seicento.

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