Le antiche pievi del territorio di Bagno a Ripoli: Santa Maria dell’Antella, San Pietro a Ripoli, San Donnino a Villamagna

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Osservando il territorio dell’attuale comune di Bagno a Ripoli, è facile riscontrarne un elevato grado di corrispondenza con quello delle tre antiche pievi di Santa Maria dell’Antella, San Pietro a Ripoli e San Donnino a Villamagna. Assetto ereditato dalla forte persistenza delle circoscrizioni plebane nella nostra regione e dal loro continuo rapportarsi con la distrettuazione territoriale civile dei domini cittadini basso medievali; tanto che ancora nella seconda metà del XIX secolo, Luigi Torrigiani, segretario comunale (tra il 1850 ed il 1904) nonché maggiore erudito del territorio, organizzò la sua monumentale opera storica dedicata al nostro comune, sulla base di queste antiche suddivisioni.
Tralasciando per il momento la questione dei diritti di patronato che permettevano alle potenti famiglie laiche di controllare la gestione patrimoniale delle chiese, come il tema artistico-architettonico, ricercheremo per ogni pieve una particolare vicenda; esempio della vita che nel Medioevo ed in Epoca Moderna, poteva svolgersi attorno ad essa, nonché di alcune tematiche di interesse per la ricerca storica contemporanea, ovvero: il ruolo del pievano nel governo della sua plebania, i cambiamenti di sede della pieve, la decadenza dell’istituzione.

Santa Maria dell’Antella

antellaUna delle principali prove della territorializzazione dell’istituto plebano, ricercate dagli storici, è la ricorrenza documentaria del rimando alle pievi quale punto di riferimento utile alla designazione di beni immobili, in occasione dei loro passaggi di proprietà. Molto spesso le prime testimonianze scritte che ci attestano dell’esistenza di una pieve dipendono proprio da tale evenienza. E’ questo il caso di Santa Maria dell’Antella, ricordata per la prima volta nel 1040, quando costituiva molto probabilmente una pieve collegiata, ovvero sede della vita comune del gruppo di chierici che si occupava anche delle parrocchie suffraganee.
La testimonianza successiva, se si escludono le vicende dei diritti di patronato, risale al 1271; quando il il pievano Buonamente fu chiamato a fare da arbitro per una questione sorta tra i parroci delle sue suffraganee di San Lorenzo a Montisoni e San Martino a  Ripacozza. La lite riguardava cinque  famiglie della località di Cantagallo, solite riferirsi per la cura d’anime alla chiesa di San Lorenzo a Montisoni benché appartenenti al territorio di San Martino a  Ripacozza. A ragione di tale uso le cinque famiglie richiamarono la loro inimicizia con Cacciaconte da Gavignano, dal quale temevano atti ostili e la cui dimora si trovava troppo vicina alla strada tra Cantagallo e San Martino a Ripacozza. Alberto Siminetti dichiarò inoltre la lunga ed ininterrotta consuetudine, precedente almeno al trentennio che egli aveva trascorso quale parroco, con la quale queste famiglie si recavano alla sua chiesa, pur negando la ragione dell’inimicizia di Cacciaconte. Nessuna ragione valse, in ogni caso, a convincere il pievano a mettere in discussione i confini tradizionali e Buonamente si pronunciò in favore della chiesa intitolata a san Martino.
A completare la  vicenda ci sembra opportuno ricordare anche, come sia la famiglia Siminetti sia quella da Gavignano vantassero diritti di patronato sopra la chiesa di San Lorenzo a Montisoni ma non conosciamo se le due pretese coesistessero pacificamente o meno.

San Pietro a Ripoli
eChianti  (4)Il primo ricordo della pieve di San Pietro a Ripoli dipende da un documento di Carlo Magno risalente al 799. Di questo documento dobbiamo segnalare innanzi tutto la particolarità di adoperare l’intitolazione di San Pietro a Quarto, denominazione condivisa da tutti i documenti più antichi che ricordano la nostra pieve. Tale circostanza ha indotto lo studioso erudito Emanuele Repetti, ad affermare un trasferimento della sede pievana, dal luogo dove oggi si trova la suffraganea di Santa Maria a Quarto all’attuale sede di San Pietro a Ripoli. Tale ipotesi, in seguito, non ha riscosso l’assenso degli studiosi locali; sia Torrigiani sia Fabio Del Bravo (quest’ultimo negli anni Novanta) hanno considerato l’osservazione toponomastica di Repetti, insufficiente a provare uno spostamento della pieve, mancando ulteriori indizi che indicassero come la pieve di San Pietro a Quarto si fosse trovata nella località indicata da Repetti anziché nella sede attuale.

San Donnino a Villamagna
San DonninoLa prima attestazione della pieve di San Donnino a Villamagna risale al 1067 e riguarda una donazione di beni posti nella sua plebania. Tuttavia, le memorie più antiche legate a questa pieve rimandano soprattutto al culto del santo Gherardo da Villamagna.
Della vita dell’uomo Gherardo, svoltasi tra XII e XIII secolo, conosciamo assai poco, dipendendo esclusivamente dalla vita composta nel 1560 dal pievano di Villamagna, Bartolomeo di Giovanni da Quercia, troppo lontano dal tempo in cui visse Gherardo per risultare attendibile.
In ogni caso, i ricordi che coinvolgono la pieve di San Donnino a Villamagna risalgono ad un tempo assai successivo alla Vita, più precisamente al 1613, quando la Compagnia fiorentina di san Sebastiano si propose di impegnarsi a ravvivare la devozione ai suoi fondatori, tra i quali vantava appunto Gherardo da Villamagna. Tale recupero assunse la forma di una processione da svolgersi ogni tre anni dalla sede della compagnia all’oratorio, dove era conservato il corpo di Gherardo, presso Villamagna. Nel 1712 la documentazione lascia affiorare i primi segni del disaccordo tra la pieve e la compagnia circa la gestione del culto di Gherardo. Il pievano Monsechi si era fermamente opposto alla volontà della compagnia di portare un cuscino ed un vestito nuovi al corpo di Gherardo, probabilmente nel tentativo di evitare che il vestito ed il cuscino vecchi venissero portati via come reliquie. La pieve ebbe però la peggio perché la compagnia, forse appoggiata dalle potenti famiglie della zona, presso le cui ville facevano tappa le processioni verso l’oratorio di san Gherardo, riuscì ad ottenere un intervento dell’arcivescovo fiorentino che ordinò al pievano di accettare il nuovo abito e di lasciare che quello vecchio venisse traslato.
Poco tempo dopo la compagnia ricevette dal pievano, grazie ad un contratto di livello, il terreno sopra il quale sorgeva l’oratorio di Gherardo, il diritto di edificarvi, tenervi un custode, ed una delle chiavi che consentivano di accedere al corpo del santo, il quale sarebbe stato esposto ogni tre anni in occasione della processione. Il pievano fu privato anche della facoltà di esporre Gherardo senza il permesso della compagnia. Appare evidente come la pieve abbia perso, in questo modo, il controllo del culto del proprio santo locale che secondo le testimonianze raccolte presso i contadini di Villamagna all’inizio del XIX secolo, in occasione del processo ufficiale di beatificazione, veniva invocato soprattutto a protezione dei raccolti.
Tali testimonianze, non ricordano infatti i miracoli legati alla crociata attribuitigli dalla tradizione scritta o lo spirito profetico ma il beato vi compare chiaramente quale protettore dei campi; a lui ci si rivolgeva soprattutto in caso di eccessiva tempesta o siccità. Unico significativo contatto tra le testimonianze di questi contadini e la Vita, scritta nel XVI secolo dal loro antico pievano: il miracolo della maturazione delle ciliege in gennaio, riscontrabile anche nelle rappresentazioni artistiche precedenti la Vita.

Ricostruendo: l’interesse degli studiosi locali per un possibile trasferimento di sede della pieve di San Pietro a Ripoli, il tentativo del pievano Buonamente dell’Antella di imporre il rispetto dei confini tradizionali tra le sue parrocchie e come la pieve di San Donnino a Villamagna sia stata emarginata dal culto del santo Gherardo, speriamo di avere restituito l’immagine di tre istituti vitali, nonché strettamente collegati alla storia del territorio.

Alessio Mariani

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Asilo a Balatro, elementari ad Antella, medie a Ponte a Niccheri, Liceo a Bagno a Ripoli, laurea in Storia Medievale presso l'Università degli Studi di Firenze, una formazione che già riflette il legame con il territorio del quale mi sono appassionato a scrivere.