Nei Ricordi di Bernardo Machiavelli, padre di Niccolò, si legge che il «19 luglio 1475 io ò dato curare a Ghirigoro di Jacopo da Rimaggio una mia tela di tovaglie» e poi, ancora per diversi anni, a Andrea Scapella di Rimaggio e «a Lorenzo di Jacopo curandaio a Candeli» invia fazzoletti, sciugatoi e tovagliolini.
Si può dire quindi che la biancheria del piccolo Niccolò Machiavelli sia stata lavata a Rimaggio e a Candeli.
In effetti, fin dal ’400 intorno al Rio Maggiore era diffusa l’attività del curandaio che si occupava di sbiancare e sterilizzare i panni delle famiglie. Una crisi di lavoro si ebbe per un certo periodo nel ’600 quando fu vietato ai fiorentini di mandare i panni da lavare nel contado per evitare il contagio della peste nel territorio extraurbano.
Nel ’700 il lavoro di lavandaio cominciò a svilupparsi anche a Grassina dove, nel periodo di Firenze Capitale, si registrò un enorme incremento tanto da vedere oltre 300 addetti impegnati in quest’attività.
Con un carretto a mano, il lunedì mattina si faceva il giro in città per raccogliere la biancheria sporca dai clienti. Nel pomeriggio le donne iniziavano la smollatura al viaio e poi la bollitura nelle conche con la cenere e il ranno. Il lavaggio e la sciacquatura si faceva nei viai o direttamente nell’acqua corrente del fiume. Per l’asciugatura si aspettavano i giorni di tramontano per fare le tese all’aria aperta e al sole creando uno spettacolo di grandi distese bianche quasi fosse nevicato. Dopo la stiratura con il mitico mangano si preparavano i pacchi di biancheria pulita da riconsegnare alla clientela.
Quindi, un lavoro lungo e faticoso che, oltre i lavandai, coinvolgeva anche i saponai e i falegnami. La famiglia Petrioli di Grassina per cinque generazioni ha costruito gli utensili in legno del lavandaio: le mestole, le barelle e le cassette per inginocchiarsi al fiume.
Grassina divenne il paese dei lavandai per antonomasia, tanto che nel 1955 il regista Lionello Fabbri girò un film-documento su questo mestiere che, repentinamente, è stato sostituito dalle lavatrici fino a scomparire del tutto.
Ma per conservarne la memoria, il 22 marzo 2009, in piazza Umberto I è stato inaugurato il monumento alla lavandaia, opera in bronzo dello scultore grassinese Silvano Porcinai: «Un omaggio non solo alla figura della donna, moglie, madre, lavoratrice instancabile, ma a tutto il paese».
Massimo Casprini