Cent’anni fa le barricate per difendere il paese: da Campigliano a Ponte a Ema

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by Massimo Casprini

Ponte a Ema è un paese lungo la via che porta al Chianti, disteso sulle due sponde del fiume Ema.

Il Ponte a Ema nelle Carte dei Capitani di Parte del 1584 (Archivio di Stato, Firenze)

Non ha particolari ricordi o monumenti storici se non che oggi è noto come il paese che ha dato i natali a Gino Bartali (1914/2000) e al deputato contadino Felice Bacci (1877/1937).La chiesa parrocchiale dedicata a San Piero a Ema è stata ricostruita nell’Ottocento su una preesistente molto più piccola che risaliva al Decimo secolo ed era di fronte alla cosiddetta “Isola d’Ema” formata da piccoli rami del fiume sulla quale, si dice, esistesse un vero e proprio porto fluviale per merci e legname.

Nella chiesa si trovano: un ciborio in marmo della scuola di Giuliano da Maiano, due affreschi attribuiti al Ghirlandaio e all’Allori e un crocifisso ligneo del 1465 di Marco Del Tasso, venerato come miracoloso per i numerosi prodigi fatti. Si ricorda che nel 1779 fece piovere dopo lunghi mesi di siccità; nel 1825 salvò un bambino che durante la processione era caduto dal ponte nell’Ema (in realtà, fu Sorchino di Grassina che si tuffò per salvarlo); nel 1850 una carrozza con tutti i passeggeri si ribaltò mentre stava scendendo dal poggio di Diacceto e tutti restarono incolumi grazie all’intercessione del Cristo crocifisso. A seguito delle grazie ricevute i parrocchiani portarono numerosi ex voto e doni in chiesa che furono tutti rubati nel 1854… senza che la Sacra Immagine intervenisse per difenderli!

La piazzetta del Ponte a Ema con la Cànova in una foto di fine Otocento (R. Arrighi, Biblioteca Moreniana, Firenze)

Ma la storia e il nome del luogo che in antico si chiamava Campigliano è legata al ponte da cui ha preso il nome: Ponte a Ema.

Da qui passava l’importante via Chiantigiana che partiva dal Bandino, saliva il Diacceto e scendeva nella valle del fiume Ema dove, per attraversarlo, fu scelto il punto più stretto e con le sponde più solide in una zona che, anticamente, doveva essere paludosa.

Fin dal Cinquecento, intorno al ponte esisteva una famosa osteria, il mulino idraulico degli Olivetani che lo usarono fino al 1808 quando lo requisì Napoleone e le fornaci gestite dai parenti di Santa Caterina da Siena. Durante il periodo mediceo, tutta la zona era una bandita con riserva di caccia e pesca per i granduchi e i cortigiani.

Lentamente, il borgo si sviluppò soprattutto sulla sponda destra. Fu istituita anche una Cànova di vini e di generi alimentari nella piazzetta che si era creata vicino al ponte.

L’importante arteria per il Chianti era assiduamente utilizzata da carrettieri, barrocciai, commercianti e viaggiatori a tal punto che nei pressi del ponte a fine Ottocento si contavano ben sette rivendite di vino, fiaschetterie e bettole. In quel periodo si sviluppò notevolmente anche l’attività dei lavandai che, soprattutto le donne, andavano direttamente sul greto del fiume a lavare i panni nell’acqua corrente.

Gli abitanti del Ponte a Ema non hanno mai sopportato i soprusi e lo dimostrarono anche nel marzo 1921 quando, nel timore di un’incursione annunciata dei fascisti fiorentini, pensarono bene di difendersi innalzando una barricata con masserizie e travi di legno sulla strada provinciale all’ingresso del paese. Immediatamente, partirono da Firenze dei soldati con una autoblinda e una batteria da montagna decisi a sfondare con le buone o con le cattive.

I pontaemesi non intesero le buone maniere e si rifiutarono di smantellare l’ostacolo. Il comandante non aspettava altro, ordinò alle batterie di far fuoco. Fu una battaglia impari, la barricata fu distrutta e i due giovani Faliero Giannini e Ugo Ollani furono feriti gravemente.

Ma torniamo al ponte, fulcro della storia e della vita del paese. Anticamente esisteva un ponte di legno che nel 1327 fu sostituito con uno in pietra. La prima rappresentazione che abbiamo è del 1584 nelle Carte dei Capitani di Parte. Le tre arcate sono il segno evidente che il letto del fiume era molto ampio. Nella stessa carta è disegnata un’osteria e il mulino con la gora che prendeva acqua dall’Ema. 

Ponte a Ema a Firenze in un disegno di Renzo Cantagallina del 1621 (Biblioteca Classense, Ravenna)

Un bellissimo disegno a matita nera e rossa e con inchiostro acquerellato di Renzo Cantagallina mostra com’era nel 1621 il “ponte a ema a f[irenze]” (come sta scritto in alto al centro). Era a gobba d’asino con forti spallette e tre arcate. Sulla carreggiata selciata ci sono due viandanti e intorno c’è una selva di alberi. Sullo sfondo, si vede la solita osteria ai piedi del poggio di Fattucchia con alcune ville.

Il 12 settembre 1671 si svolse un tragico evento a cui assisté tutto il paese. Sulla coscia destra del ponte fu innalzata la forca e fu impiccato e squartato Francesco Cioppi per aver tentato di uccidere la sua innamorata con le frittelle avvelenate che però fecero morire il padre e il fratello di lei. 

Nel 1677 il ponte ebbe bisogno di un restauro e furono rifatte le tre arcate delle quali, però, due rimasero chiuse per lungo tempo perché la portata del fiume si era ridotta notevolmente e il letto si era ristretto.

In un cabreo del Sei-Settecento il ponte è rappresentato ancora con tre arcate: quella all’estrema destra è inutilizzata e interrata; sotto le altre due scorre l’Ema diviso in due bracci che, dopo il pilone centrale, forma un’isola molto lunga. A valle del ponte è disegnata una stradella (identificabile con l’attuale vicolo del Ridi) che parte dal borgo composto di una decina di case e raggiunge l’osteria dopo aver guadato i due rami del fiume e attraversato l’isola.

Ponte a Ema in un cabreo sei-settecentesco

Un’altra pianta interessante della zona è contenuta nel Campione di strade comunitative di Bagno a Ripoli del 1774. L’acqua sembra essere tornata abbondante e il fiume scorre molto ampio sotto le tre arcate. L’isola a valle è scomparsa. Sono rappresentati il mulino, l’osteria e, sulla sponda destra, le case dei Bargigli, noti fabbri fra cui il famoso cantore in ottava rima Vincenzo (1740/1810) detto i’ Niccheri e suo figlio Pietro, anche lui fabbro e improvvisatore.

A fine Ottocento e nei primi decenni del Novecento il ponte attirò l’attenzione di pittori e fotografi. È del 1884 la pittura a olio Lavandaie sull’Ema di Angiolo Tommasi (1859-1923) che ritrasse le lavandaie al lavoro sul greto sassoso. In una foto di Mario Superbi del 1890 si vedono due arcate con le centine degli archi che poggiano direttamente sul letto del fiume dove c’è un gruppo di lavandaie. In un’altra fotografia del 1920 di Armando Canale il ponte ha un solo arco ribassato poggiante su due piloni. Anche il pittore Ennio Cocchi (1915-1987) gli dedicò una pittura ad olio nel 1937.

Lavandaie sull’Ema, pittura di Angiolo Tommasi del 1884

Durante la Seconda Guerra Mondiale il ponte fu considerato strategicamente molto importante per i collegamenti di Firenze con l’estremo territorio del Chianti, quindi, durante la loro ritirata nell’estate 1944, i tedeschi lo fecero saltare in aria insieme al mulino.

Nel primo periodo post-bellico, il ponte è stata una delle prime opere ad essere ricostruita e nel 1946 si inaugurò quello nuovo in cemento armato con un’unica soletta a travi lunga venti metri, larga cinque, poggiante su spalle rivestite di sasso.

Quindi, un ponte come simbolo di Unione, non solo di due sponde ma di collegamento e vincolo fra i popoli.

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