Sport al femminile, tra successi e discriminazioni

Il Comitato Vivere all’Antella con il Patrocinio del Comune di Bagno a Ripoli ha organizzato un evento di confronto dal titolo “Sport e Discriminazione di Genere”. Eleonora Francois: "La discriminazione é strettamente legata all'informazione, servono buoni esempi da imitare"

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Il tema è quanto mai attuale, la discriminazione di genere è in questo particolare momento storico, un argomento molto sentito, troppo spesso motivo di criticità in particolare nel mondo sportivo.

Il Comitato Vivere all’Antella con il Patrocinio del Comune di Bagno a Ripoli ha organizzato un evento di confronto, moderato dal giornalista Francesco Matteini dal titolo “Sport e Discriminazione di Genere” al quale sono intervenuti gli assessori Eleonora Francois e Enrico Minelli insieme a Giorgia De Vecchis, dell’Empoli Ledies FBC, Irene Siragusa, velocista nazionale di atletica leggera, Maria Laura Carrabba di Le Puma Bisenzio Rugby, Maria Bazzani di The Dreamers Academy e Gabriella Lescai, giornalista sportiva

“La discriminazione è strettamente legata all’informazione, e oggi deve essere combattuta con degli esempi” – dichiara Eleonora Francois, assessore alla cultura del comune di Bagno a Ripoli – “la cultura familiare italiana ci racconta che lo sport si fa praticare ai maschi e non alle femmine, oggi siamo in grado di cambiare questo paradigma attraverso i buoni esempi. Le donne che praticano uno sport non si devono far piegare dai pregiudizi, il loro modello può essere imitato da tante altre donne, creando così una nuova cultura.”

Nella nostra società sportiva sono sei le discipline che prevedono il professionismo: il calcio, il basket, il golf, il ciclismo, il motociclismo ed il pugilato solo per gli uomini però, e questo é già una prima discriminazione. E’ infatti il CONI a decidere quali sono le discipline sportive professionistiche, in collaborazione con la Federazioni Sportive, senza però far chiarezza sulla differenza tra l’attività professionistica e dilettantistica, creando una grave discriminazione e penalizzando molti atleti, in particolare le donne.

“Le donne nello sport non hanno neppure tutele pensionistiche” – racconta Enrico Minelli, assessore allo sport del Comune di Bagno a Ripoli, “voglio citare solo l’esempio di Nikoleta Stefanova, campionessa di ping pong che ha dovuto subire l’esclusione dalle Olimpiadi di Rio a causa delle recente maternità. Serve migliorare l’ordinario, lavorare sul sentimento culturale collettivo, purtroppo nel nostro Paese siamo tristemente indietro rispetto all’Europa. Come amministrazione stiamo scommettendo molto nell’edilizia scolastica e sportiva, ma dobbiamo essere anche aiutati dallo stato con finanziamenti importanti.”

“Mi fa molto piacere parlare di questo argomento, nel mio sport sta migliorando la situazione, grazie anche a SKY che ci restituisce visibilità” – racconta Giorgia De Vecchis, Empoli Ladies FBC – “Noi ci alleniamo le stesse ore dei professionisti, ma in orari impossibili perché la priorità viene data agli uomini, e spesso anche in spazi ridotti e non idonei. Ricordo perfettamente quando ho iniziato a giocare, nella squadra ero l’unica donna,  mi spogliavo in infermeria o nello stanzino delle scope.”

“Una delle cose più disgustose sono sicuramente i commenti sui social” – racconta Irene Siragusa, velocista nazionale di atletica leggera – “oggi vengono considerati normalità, ma se si legge con attenzione, molte sono le  offese anche fisiche. In atletica si sopravvive con gli sponsor, Filippo Tartu è il più veloce d’Italia ed ha uno sponsor importante, io tra le donne sono la più veloce, e non ho questa possibilità: se non hai il capello sciolto, se non ti fai una foto particolare lo sponsor non ti segue per i social, in molti casi è lo sponsor stesso che ti dice come e cosa postare, e quale foto fare. Un altro evento discriminatorio che voglio citare riguarda i mondiali di Doa in Qatar, la stampa italiana ha sminuito i nostri risultati, che sono stati più importanti di quelli maschili.”

“Il rugby è già uno sport minore, e questo amplifica la cosa, noi come ragazze che facciamo rugby paghiamo per fare questo sport, anche se siamo in serie A: veniamo da tutta la Toscana a Campi Bisenzio per allenarci, a spese nostre, comprese le trasferte.” – racconta Maria Laura Carrabba, Le Puma Bisenzio Rugby – “Pochi sanno che ci viene richiesto un impegno a livello professionale, senza contributi economici ne mezzi. Nel rugby femminile sei considerata una donna con l’accezione negativa, perché sei grossa oppure in sovrappeso, un maschiaccio piuttosto che una lesbica. Molte società per finanziarsi fanno il calendario, e come fanno a vendere i calendari: se ti spogli vendi altrimenti non vendi.”

“Nella mia disciplina il mio primo problema sono le altre donne.” – racconta Maria Bazzani, insegnante di danza a The Dreamers Academy – “Nella mia carriera, non sono mai scesa a compromessi per poter lavorare, conosco invece tante colleghe che hanno dovuto alleggerire molto il guardaroba per poter svolgere il proprio ruolo. Nel mio percorso formativo, cerco di costruire un pensiero robusto nelle mie allieve, che le protegga. La mia certezza è il mio corpo, che considero il mio tempio, mi spiace assistere a provini dove l’esaminatore chiede, al termine di una prova coreografica, di rivedere la parte dove la ballerina muove di più il bacino. Noi donne dobbiamo cambiare atteggiamento: dobbiamo imparare a dire di No.”

“Nel periodo in cui ho esercitato la professione di giornalista, parliamo della seconda metà degli anni ’70, io non ho avuto grandi esempi di discriminazione.” – racconta Gabriella Lescai, giornalista sportiva – “Tante battaglie le ho portate avanti con Manuela Righini, era un periodo storico in cui serviva vincere la diffidenza dei personaggi stessi: calciatori, allenatori, piuttosto che i colleghi e poi il pubblico. Ricordo che alla fine di ogni partita, come consuetudine, molti colleghi entravano negli spogliatoi. Una domenica abbiamo comunicato allo staff che saremmo entrate anche noi negli spogliatoi, ci fu risposto che non potevamo ‘perché eravamo donne‘, ne scaturì una accesa discussione. Dalla domenica successiva fu appeso un cartello fuori degli spogliatoi, dove si invitava la stampa ad aspettare fuori gli atleti. Per me e Manuela fu una prima battaglia vinta.”

Da questo interessantissimo confronto pubblico è emerso con forza il pensiero troglodita che attanaglia la nostra società: “Se tu donna vuoi fare sport, ti devi adeguare alle regole”.

Un problema culturale, che può essere risolto solo con nuove regole adeguate sia agli uomini che alle donne.