Paterno e la chiesa di Santo Stefano

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Descrizione

Il toponimo Paterno, molto diffuso in Toscana, risale all’alto Medioevo ed anche all’età romana; deriva dal latino ‘paternus’ e indica una proprietà ereditata dal padre. Con Paterno si indica tutta la zona compresa intorno alla chiesa di Santo Stefano e per esteso tutto il territorio parrocchiale.

La bianca chiesa di Santo Stefano dal caratteristico campanile cuspidato fu costruita tra il 1806 e il 1820 e venne completamente restaurata nel 1934 per volontà dell’allora parroco Don Ulderigo Masti, su progetto dell’architetto Severino Crott.

Il primitivo edificio sacro, documentato già dal 1286, si trovava più a monte nei pressi del podere il cui toponimo, Chiesa Vecchia, ne conserva ancora il ricordo. L’antica chiesa faceva parte del Plebato di Ripoli, è menzionata negli elenchi delle decime (1276 – 1277 e 1302 – 1303), mentre dai catasti fiorentini (1427 e 1498) sappiamo che era proprietaria di terre con oliveti, vigneti e boschi e che alla Compagnia di Santo Stefano a Paterno apparteneva una casa con terreno. La chiesa fu eletta a prioria nel 1727. Ma alla fine del Settecento l’edificio era in pessime condizioni e si erano verificati anche dei crolli; per questo nel 1806 (ne era priore Jacopo Mazzoni) si decise di ricostruirne una nuova un poco più a valle.

All’interno del nuovo edificio furono collocate alcune opere presenti in quello più antico. Da ricordare un affresco di ignoto pittore fiorentino del XV secolo raffigurante l’Annunciazione che, nella chiesa duecentesca, si trovava all’altare della Madonna e da qui fu staccato già nel 1772 da un giovane scultore fiorentino. Degne di nota alcune tele risalenti ai secoli XVI e XVII, tra queste, una Madonna del Rosario di Francesco Curradi.

Nella chiesa, al disopra dell’altare maggiore, si conserva l’importante croce dipinta (tempera e oro su tavola) databile 1280/1290, attribuita, in passato, ad un seguace di Cimabue e più recentemente a Gaddo Gaddi. L’opera raffigura l’immagine di un Cristo (stile bizantino) col corpo ricurvo, a simboleggiare la sofferenza della morte. Il crocifisso proviene dall’Oratorio della Croce a Varliano e fu trasferito a Paterno nel 1895, dopo il terremoto del 18 maggio. Il restauro, effettuato negli anni Ottanta del secolo scorso, ha permesso una lettura più attenta di ogni parte, tra l’altro si è evidenziato come la ‘B’ sormontata da un gallo posta ai piedi del Cristo non simboleggi il rinnegamento di San Pietro, ma sia da leggersi come ‘B+GALLO’, e sta a indicare che la committenza dell’opera è della Compagnia del Bigallo.

In alcune stanze poste nel retro dell’edificio hanno funzionato dal 1931 sino al 1963 un asilo e un doposcuola, con la gestione delle suore appartenenti all’Ordine delle Ancelle di Maria e poi delle Mantellate.

Come arrivare

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La redazione del giornale eChianti.it