Il Crocifisso di Baroncelli, tabernacoli che si muovono e specchiano la storia | FOTOGALLERY

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Apparentemente immobile da quasi mezzo millennio, in realtà la Cappellina del Crocifisso di Baroncelli ha accompagnato una comunità attraverso fratture epocali; rilevato il presidio delle divinità classiche, ha continuato a garantire la prosperità delle campagne, protetto dalla peste, irradiato le direttive del Concilio di Trento contro l’ombra di Lutero, allarmata dall’invasione napoleonica ha aperto gli occhi, più di recente si è appartata e infine, lasciata restaurare.

Non tutti gli sviluppi storici che abbiamo tratteggiato sopra, risultano tuttavia attestati per quanto riguarda la Cappellina del Crocifisso a Baroncelli, eppure se si desidera capire come anche l’elegante affresco primo-cinquecentesco di un Crocifisso e la piccola cappella che lo preserva possano essere specchio di grandi eventi e sviluppi di lungo periodo, occorre tenere conto del quadro di insieme: della storia territoriale, devota e popolare dei tabernacoli. E proprio in questa direzione, il Nuovo Comitato per il Recupero della Cappellina di Baroncelli, rappresentato da Giuliana Righi, ha animato la giornata di domenica scorsa, occasione per contribuire economicamente ai costi del restauro in corso ma anche per meglio capire e conoscere; ringraziando in particolare il prof. Giovanni Cipriani che ha presentato alcuni tratti della storia dei tabernacoli e la restauratrice Daniela Dini che ancora si sta prendendo cura del Crocifisso, pur potendo già presentare la cronaca di un restauro, come anche don Andrea, parroco di Bagno a Ripoli che ha ospitato la giornata presso la sala conferenze della sua chiesa.

Come abbiamo già accennato i tabernacoli rilevarono un’eredità di immagini pagane, offrendo luoghi per la devozione e soprattutto nelle campagne assolvendo alla funzione importante di richiedere la protezione divina per i raccolti e la vita delle comunità. In questo modo, spesso, i tabernacoli furono meta delle rogazioni, processioni devote, attestate tra Basso Medioevo ed Età Moderna, volte ad assicurare la buona riuscita della semina.

Tra i soggetti raffigurati nei tabernacoli oltre al Crocifisso e naturalmente la Vergine, un’intercessione particolare fu richiesta invece a san Rocco, soprattutto a partire dalla peste boccaccesca del 1348. Rocco, pellegrino di Montpellier, contrasse il morbo in Italia e fu costretto a cercare ricovero in uno dei numerosi ospedali; disperando nella guarigione desiderò di morire all’aperto e si recò in una campagna isolata, lì l’incontro casuale con un cane dovette parergli l’ultimo conforto mondano. L’indomani tuttavia, il cane fece ritorno, portando un pezzo di pane per il santo che così accudito ogni giorno, riuscì a guarire, decidendo infine di consacrare la propria vita alla cura dei malati di peste.

Se le epidemie contribuirono a diffondere il culto di san Rocco e la sua iconografia di appestato accompagnato dal fedele animale, fu però soprattutto il Concilio di Trento a moltiplicare i tabernacoli ed in particolare quelli dedicati ai santi, in risposta al rifiuto del loro culto, propagandato dalla Riforma Protestante. In questo modo fu anche grazie ai tabernacoli che la grande storia del Concilio ebbe conseguenze fin nelle più profonde campagne cattoliche. Non fu però questo l’ultimo grande evento storico del quale i tabernacoli avrebbero irradiato un riflesso popolare. Quando le armate napoleoniche, nel 1796, invasero la Toscana, portarono con sé i principi della Rivoluzione Francese ed un nuovo calendario laico, “ripulito” dalle antiche feste dei santi; così alcune immagini (non quella di Baroncelli) si mossero o aprirono miracolosamente gli occhi, innanzi socchiusi, come a mettersi e mettere in guardia dal rivolgimento.

Nei tempi che seguirono molti tabernacoli progressivamente si appartarono; mostrando infine, con il rifiorire degli interessi storico-artistici per queste opere e l’affinamento dei principi del restauro scientifico, anche i segni del tempo. Segni non lievi per l’affresco del Crocifisso di Baroncelli. Il restauro è avanzato pertanto lentamente, tanti i guasti e le ridipinture di un antico “restauratore imbianchino”; tuttavia la fase di ripulitura si è conclusa con successo, svelando una cupola del Duomo che solo si intravedeva sullo sfondo e scoprendovi, dopo molto tempo, vicino la sagoma ottagonale del Battistero, accanto a mura, torri e ad un paesaggio lacustre. Prossimo, il momento di riflettere sul tema dell’attribuzione a Biagio di Antonio Tucci, già proposta, ma meglio indagabile alla luce del restauro. Tale attribuzione daterebbe per altro l’affresco agli anni immediatamente precedenti il 1516, accordandosi con la temperie savonaroliana dello stile, caratterizzato dal raffinato pietismo anatomico del Cristo, arrossato dal sangue che si perde fino alla coscia e raccolto dall’angelo sulla sinistra.

Non pare pertanto difficile collocare il nostro restauro in un continuum storico, come anche la rinnovata attenzione per questa importante espressione artistica e religiosa, radice e punto di vista per il futuro, si turistico, come ha richiamato in fine l’assessore ai beni culturali del Comune di Bagno a Ripoli Annalisa Massari ma anche educativo.

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Asilo a Balatro, elementari ad Antella, medie a Ponte a Niccheri, Liceo a Bagno a Ripoli, laurea in Storia Medievale presso l'Università degli Studi di Firenze, una formazione che già riflette il legame con il territorio del quale mi sono appassionato a scrivere.