In cammino verso Montisoni, tra storia e natura

1732

Se pure è vero che il fine nobile del viaggio non è la meta ma il cammino stesso, non di meno i poli della partenza e dell’arrivo occorrono per dare modo al percorso di manifestarsi; né tuttavia devono essi assumere inevitabilmente natura fisica, tanto che anche noi abbiamo raggiunto, tra le colline verdi, l’antica chiesa di San Lorenzo a Montisoni, incamminandoci non solo dal paese di Antella ma anche dalla curiosità accesasi con la lettura di un’antica opera, scoperta quasi per caso nella sezione locale della Biblioteca Comunale di Bagno a Ripoli.

 

Studi storici positivisti

Era infatti il 1889, quando l’archivista Pietro Berti diede alle stampe il suo studio: La Parrocchia di San Lorenzo a Montisoni nel Piviere dell’Antella, aggiungendo tale lavoro a quello di Luigi Torrigiani sul Comune di Bagno a Ripoli come all’opera del padre Angiolo Banelli, dedicata al territorio dell’antica Pieve di San Pietro, situata nel centro eponimo dello stesso comune.

Tale affaccendarsi dei nostri eruditi locali rifletteva del resto un momento di particolare fortuna per gli studi storici, favoriti dal recente stato unitario italiano, desideroso di nobilitarsi valorizzando le patrie memorie ed incoraggiati dall’ascesa della corrente storiografica positivista, della quale sarà interessante illustrare alcune tendenze generali. Proprio il Berti si rivela infatti lo storico più positivista ovvero infervorato, oggi noi diremmo, dall’illusione di poter applicare nello studio della storia lo stesso metodo scientifico che tanto aveva impressionato l’Europa con i successi di discipline quali la chimica, la fisica o la meccanica. Per questa ragione lo studio del Berti sprofonda tanto nella minuzia, nel dettaglio, quasi volesse ricercare gli atomi e si appiattisce sul percorso tracciato dalle carte di archivio, riportando i loro “dati” con grande precisione ma percependo poco la necessità di porsi le domande alle quali gli storici dell’organizzazione ecclesiastica delle campagne tentano di rispondere ai giorni nostri: come sorsero le parrocchie ? Perché nella più parte d’Europa non esistettero chiese prive del fonte battesimale ? In Toscana lungamente riservato alle pievi. Ma ai tempi del Berti ricercare la prima attestazione documentaria di una chiesa doveva bastare, assieme alla certezza (possibile ?) di non “aver tradita, fosse ancora di un atomo, la verità della storia“, come egli scrisse.

 

Verso Montisoni

Così ci siamo incamminati verso Montisoni, partendo da Antella e seguendo appunto Via di Montisoni, trovandoci presto in mezzo al verde, risalendo il poggio tra campi, boschi, colline e splendidi panorami. Attraverso una passeggiata facile che possiamo senza dubbio raccomandare a tutti, data la sua brevità, quaranta minuti circa, e l’agevolezza del percorso, accompagnato dai suggestivi panorami delle terre sottostanti, sulle quali si possono ammirare Antella, Impruneta ma anche Firenze, con la cupola di Santa Maria del Fiore.

Ad incentivare davvero tutti, preannunciamo come la strada sia per buona parte asfaltata (questo non è un invito a prendere la macchina !), Ben battuta e nell’ultimo tratto ancora lastricata nella caratteristica “selice”, antico termine, sinonimo di pietra o selce, secondo le più antiche edizioni del Vocabolario della Crusca.

Lungo il percorso si incontrano anche diversi tabernacoli mariani, semplici ma significativi della religiosità popolare, spesso nei trivi, dove già la dea Ecate si manifestava al tempo degli antichi romani.

Molte sono anche le ville e le case coloniche che si incontrano lungo la strada e sulla cui toponomastica si affaccendò non poco il Berti, rilevando una grande continuità tra i nomi che riuscì a rintracciare nel Medioevo e quelli del suo tempo, spesso in uso ancora oggi. Ricordiamo quindi la colonica del Monastero, anticamente sede di una comunità religiosa femminile, forse dedicata a san Luca e certamente già impiantata al 1278 quando Beatrice, figlia del conte Rodolfo di Capraia, beneficiò con venti lire le “donne rinchiuse de la crocie a Montisoni” ma anche già abbandonata al 1322, quando le religiose si trasferirono nel monastero di Santa Maria Maddalena, più vicino a Firenze. Ugualmente persistente il toponimo del Lonchio, la cui villa molto probabilmente fu posseduta dallo scienziato fiorentino Michele della Gera (XIV secolo), dal segretario di stato granducale Belisario Vinta (fino al 1583) e quindi dalla famiglia Magalotti.

Da ultimo molto ma vicino alla chiesa di San Lorenzo a Montisoni, assediato o se si vuole custodito dalla vegetazione straripante, il monumento ai caduti inglesi della Seconda Guerra Mondiale, testimonianza di come le memorie storiche abbiano continuato a stratificarsi in questi luoghi.

 

San Lorenzo a Montisoni

La chiesa di San Lorenzo a Montisoni presenta una struttura architettonica molto particolare che ricorda la forma di un rettangolo, poco più lunga di venticinque metri per il lato maggiore, sul quale si trova l’ingresso e circa sei nel lato corto.

Le origini risultano oscure, sebbene certamente antiche, tanto che la chiesa doveva essere già edificata nel 1225, quando la famiglia Siminetti ne deteneva il diritto di Patronato. Ancora innanzi è certo che il luogo sia stato dominato da un castello, del quale alla fine dell’Ottocento dovevano continuare ad intravedersi i resti tra i terrazzamenti dell’orto canonicale. Collegate alla chiesa si trovano infatti la canonica e il campanile, la cui costruzione fu progettata e diretta da Ubaldino Peruzzi tra il 1868 e il 1871, in sostituzione di quello più antico andato in rovina.

Lavori rapidi e solerti a differenza dell’ultima opera di restauro, le cui impalcature abbandonate ricoprono ancora la chiesa, purtroppo chiusa.

 

La croce di Montisoni

Tra le memorie storiche che riguardano la chiesa di san Lorenzo, i cui patroni appartennero da sempre a importanti famiglie quali Siminetti, da Gavignano, Gherardini, Bardi, Nori, De Nobili, nonché al monastero femminile di Rosano, la più celebre è senza dubbio quella della Croce a Montisoni, ricordata da Giovanni Boccaccio nel Decameron, “che voi per la croce a Montesone mi giurerete che mai, come promesso avete, a niuno il direte” (novella nona, giornata ottava).

Se pure il giuramento condusse lo sciocco medico Simone a divenire vittima di una terribile beffa, Boccaccio attesta come a Montisoni si conservasse una reliquia della Croce di Cristo, circondata da considerevole venerazione e la cui fama eccedeva l’ambito locale, giungendo fino alla città di Firenze. Non sappiamo in quale modo e per quali vie, il trascorrere dei secoli cancellò fin quasi la memoria di questo santo legno. Così soltanto nella seconda metà del Seicento, il Berti ha saputo ritrovare taccia di una reliquia della croce, proprietà della famiglia De Nobili, allora patrona della chiesa di Montisoni e destinata a rimanerlo almeno fino al tempo in cui visse il nostro studioso, quando dopo tanti secoli si tornò ad esporre il santo legno nella chiesa dedicata a san Lorenzo, in alcuni momenti liturgici ma senza che si riuscisse a stabilire con certezza se essa fosse davvero la stessa reliquia tanto venerata ai tempi del Boccaccio.

 

Processione e dote

Quella della Vera Croce non è però l’unica tradizione legata a questo luogo, testimoniano infatti la lentezza del tempo storico proprio delle società premoderne, le persistenze secolari della processione di san Marco e dell’offerta della dote. La processione, attestata la prima volta nel giorno di san Marco del 1427, era animata dalle compagnie religiose di San Donato in collina e della pieve di Santa Maria dell’Antella che in tale giorno raggiungevano la chiesa di Montisoni, dove potevano beneficiare di una refezione offerta dal parroco. Soltanto al 1766 pare che si rinunciasse all’antico rito, in quanto gli antellesi deviarono il percorso verso la villa di Lappeggi, ove soggiornava la famiglia granducale; colse l’occasione il parroco di San Lorenzo, desideroso di liberarsi da un obbligo sgradito, ingiungendo alla compagnia antellese di dimostrargli il suo dovere di accoglierla. Da Antella giunse la risposta che la compagnia non era più interessata a svolgere la processione e per quanto i patroni De Nobili ricorsero alla curia, non dovettero riuscire a ripristinare l’uso antico.

Ugualmente seicentesco l’impegno a fornire, della dote necessaria al matrimonio, una fanciulla quindicenne appartenente alla parrocchia di Montisoni, quando si fosse festeggiato san Lorenzo. Nel 1646 Mario di Niccolò di Leonardo De Nobili dispose infatti il necessario lascito testamentario al Monte di Pietà, i cui interessi avrebbero dovuto essere impiegati dagli eredi per finanziare le doti. Se pure non senza interruzioni, i De Nobili continuarono a dotare le fanciulle almeno fin quando il Berti diede alle stampe la sua opera.

 

Infine, mentre ci domandiamo quale sia la verità sul mistero della reliquia dei De Nobili e dove questa sia andata a finire dopo il 1889, giunge il momento di rimettersi in cammino verso l’Antella; lasciando che le impalcature del restauro continuino a coprire la Chiesa di San Lorenzo a Montisoni e che la vegetazione spontanea continui a fiorire disordinata nei giardini, donando a questo luogo un’aura di oblio ma forse proprio per questo motivo, anche di maggiore fascino.

 

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Asilo a Balatro, elementari ad Antella, medie a Ponte a Niccheri, Liceo a Bagno a Ripoli, laurea in Storia Medievale presso l'Università degli Studi di Firenze, una formazione che già riflette il legame con il territorio del quale mi sono appassionato a scrivere.