Il contadino che per amore finì sul patibolo a Ponte a Ema

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Nel Seicento viveva a Firenze un personaggio del quale non conosciamo il nome ma soltanto il soprannome “Pastoso” il quale annotò in un diario tutti i fatti di cronaca avvenuti dal 1640 al 1673 raccolti in un’opera che chiamò il Bisdosso, ossia chi va in qua e in là su di un cavallo senza sella. Il diario fu proseguito dal barbiere Giovan Battista Cenni e dal setaiolo Francesco Bonazzini fino al 1699.

Fra le tantissime descrizioni di miracoli, cerimonie religiose, nubifragi, piogge incessanti, agguati e omicidi, si legge che «Sabato a di 10 di settembre 1671 fu impiccato un tal Sandro di Francesco Cioppi contadino dal Ponte a Ema».

Il povero Sandro era innamorato di una bella fanciulla del suo paese. Non sappiamo se fosse più o meno corrisposto ma, a quei tempi, gli interessi avevano più importanza delle ragioni sentimentali per cui la ragazza era stata promessa sposa dal padre ad un altro giovane più benestante ed il giorno delle nozze era già stato fissato. Sandro era disperato e pensò di organizzare uno scherzo diabolico. Andò a Firenze e, segretamente, fece preparare delle frittelle avvelenate che «mandò a donare a casa della sposa senza che colui che le portò dicesse chi le mandava, con intenzione che mangiandone lo sposo tirasse il calzino». Purtroppo, le frittelle le mangiarono il padre e il fratello della sposa che morirono «speditamente».

Questo episodio di cronaca nera scosse il tranquillo borgo del Ponte a Ema e, per i solerti Otto di Guardia e Balìa, non fu difficile scoprire che l’artefice era stato il Cioppi, il quale fu preso e «senza farsi troppo pregare confessò il tutto, onde fu condannato alla forca».

Affinché fosse di esempio al popolo, il patibolo fu innalzato eccezionalmente sul luogo del misfatto: «alla coscia del ponte à Ema» e, per maggior insegnamento, anziché portare il condannato su un carro, fu scortato a piedi dalla sua casa fino al ponte, dove fu impiccato. E così, per amore, «finì la vita quel povero giovane più semplice che malizioso».

A quell’epoca, il ponte aveva tre arcate in pietra e, sul lato sinistro, c’era un’antica e famosa osteria, mentre dall’altra parte si apriva un grande spiazzo senza abitazioni che stava sopra la terza arcata da tempo inutilizzata. Quindi, probabilmente, la forca fu montata in quel punto da dove cominciava il piccolo borgo già allora popolato di lavandai che saranno accorsi insieme ai contadini della zona a vedere quell’insolito e macabro spettacolo.

Massimo Casprini

Nella foto il ponte sull’Ema ina una immagine del 1890

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Massimo Casprini, classe 1943, nato e vissuto a Bagno a Ripoli e appassionatissimo di storia locale così come di fotografia e di viaggi.